La visita alla città di Ascoli Piceno ha soprattutto come punti di riferimento questi tre Conventi e Chiese: ossia S. Antonio in Campoparignano, San Francesco e l’Annunziata, tre monumenti tra i più insigni del francescanesimo marchigiano, senza dimenticare i sei monasteri di Clarisse sorti lungo gli otto secoli di storia francescana in Ascoli Piceno (sulla storia particolare di questi conventi rimandiamo alla bibliografia indicata al termine dell’itinerario).
Quanto alle figure dei frati originari di questa Custodia: oltre Pacifico da Lisciano, il famoso “Re dei versi” di cui parlano in più punti le Fonti Francescane, il Beato Corrado Miliani da Ascoli, lettore in teologia, missionario e ambasciatore; Girolamo Masci (Nicolò IV), primo Papa francescano; Giacomo da Ascoli, Giovanni da Ripatransone e Francesco da Appignano del Tronto, grandi maestri presso l’Università di Parigi; il Beato Marco da Montegallo, discepolo di San Giacomo, iniziatore e propagatore dei primi Monti di Pietà.
Proprio su questa istituzione vorremmo volgere un poco l’attenzione, perché profondamente legata ai francescani e alla città di Ascoli. Due grandi ragioni ci sembrano legate all’origine francescana di questa istituzione: una culturale-teologica ed una spirituale.
Quanto alla ragione filosofico-teologica, secondo lo storico A. Gattucci, “Il solido retroterra culturale, che con l’Olivi e Giovanni Duns Scoto aveva portato al superamento del concetto aristotelico scolastico della sterilità del denaro e alla concezione di una collettività nello stesso tempo religiosa e economica con il riprodursi del “lucrum” passato dalla morta bora della cupidigia al servizio del benessere sociale, era stato di recente sviluppato e perfezionato da Bernardino da Siena e da S. Giovanni da Capestrano, e proprio in terra marchigiana dai suoi fratelli Niccolò da Osimo e Giacomo della Marca, il cui Campus florum e i cui Sermones già circolavano da metà del secolo. L’usuraio che accumula il denaro impedendone il reinvestimento produttivo è la minaccia numero uno dell’economia cittadina, il nemico della vita sociale di cui viola l’imperativo primario che obbliga ad anteporre agli interessi privati il bene comune.
Come si combattono gli sperperi del lusso per il loro virus antieconomico e antisociale, così va combattuta l’usura che causa la rovina dei sistemi produttivi e che gronda delle lacrime e del sangue dei poveri. Il prestito su pegno erogato dai privati con un tasso di interesse oscillante tra il 14-20% e il 30-50%, ma con punte che oltrepassavano l’80%, era una piaga aperta nel cuore della città colpita nelle classi meno abbienti, condannate con la progressiva perdita per insolvibilità dei beni impegnati a ridursi sul lastrico. Ebbene, contro i micidiali danni materiali e spirituali provocati dall’usura, attorno alla metà del secolo – afferma con qualche approssimazione Marco da Montegallo nel capitolo XI della Tabula della salute - «esso benignissimo Dio», nella sua infinita clemenza aveva ispirato l’Ordine francescano a farsi promotore dei Monti di Pietà, istituzione già profetizzata nell’Antico Testamento, ma mai realizzata, «unico humano rifugio de esso sventurato popolo» cristiano, «manecato, stracciato e devorato» dagli usurai, come lo stesso Marco realisticamente si esprime negli Statuti del Monte di Pietà di Fabriano inseriti nel capitolo XII della stessa Tabula” (A. GATTUCCI, Lo sviluppo dell’Osservanza minoritica (1368-1517), in AA.VV., Il Francescanesimo nelle Marche. Storia, presenze attualità, Movimento Francescano delle Marche, Ancona, 2000, 80).
Quanto alla ragione spirituale e, diciamo così, “apostolica”, dentro l’Ordine francescano nasceva nella seconda metà del XIV secolo, proprio nell’eremo di Brogliano nella Diocesi di Camerino, una riforma di vita, un gruppo di frati che volevano riferirsi il più possibile all’ideale di vita francescana delle origini. A questa riforma aderirono nel XV secolo uomini usciti dalle università, che portavano con sé una profonda preparazione giuridica, letteraria, umanistica, secondo lo spirito culturale di quel tempo.
“La nuova famiglia dei Frati Minori Osservanti, nata dall’ispirazione alla vita solitaria, contemplativa e povera, sentì un diverso richiamo dopo che entrò a farne parte – per una scelta casuale – S. Bernardino da Siena che sembrò esprimere un ideale più attraente. Il senese, povero e amantissimo di luoghi appartati, non era nato, certo, per la solitudine assoluta, ma per vivere a intervalli tra il popolo e poi ritrovarsi ai piedi del sentiero che lo riportava all’eremo. Egli era l’oratore fine e popolare insieme, che preferiva le piazze alle chiese, che con il suo amore per l’attività e il ritiro offriva ai confratelli della famiglia dell’Osservanza il modello del vero religioso. Avvenne così che i membri della nuova famiglia, spinti dall’esempio e dal successo di San Bernardino da Siena - il più rinomato oratore del suo tempo – divennero predicatori tra il popolo e fecero di questa attività la loro caratteristica. Del popolo conoscevano di più i bisogni morali e materiali, e furono in realtà i primi ad alzare la voce in difesa dei meno abbienti, cioè dei poveri «Lazzari» lasciati nell’inedia dai «ricchi epuloni», senza voler capovolgere la società. In questa situazione, per merito dei francescani della nuova famiglia, doveva sorgere proprio in Ascoli un’opera destinata a diffondersi in tutta Italia.
I Monti di Pietà sono un pio tentativo di venire in soccorso dei poveri e insieme rimediare ad una istituzione gravosa, nata dalla convinzione (sostenuta da teologi e predicatori) che non si potesse prestare denari a usura o interesse, essendo ritenuto furto ciò che si riscuoteva in più oltre la somma prestata. Questo convincimento, mentre da un lato non impediva del tutto ai cristiani, e talvolta alle stesse persone del clero, di esercitare l’usura coperta con artifici, dall’altro lasciava liberi gli ebrei di prestare il denaro ad un interesse (compiersi gli interessi degli interessi) in misura se non proprio illimitata, certo pesante e differenziata.
Con i Monti di Pietà venivano date in prestito piccole somme di denaro (a non più di un membro per famiglia) senza interesse e dietro la consegna di un pegno di valore non inferiore, che veniva restituito con l’estinzione della somma prestata, oppure venduto (dopo un certo periodo di tempo) per rimborsare il Monte della somma prestata.
Il primo Monte di Pietà, a quanto risulta, è stato fondato in Ascoli Piceno da fra Domenico da Leonessa, nativo di San Severino Marche, da dove emigrò nella città abruzzese con i suoi poveri genitori all’età di nove anni; forse il sanseverinate, che è stato più volte superiore provinciale dei Frati Minori Osservanti delle Marche, può definirsi l’«ideatore» della istituzione che in Ascoli nasce proprio con il nome di «Monte di Pietà», destinato a divenire universale, mentre in altri luoghi assumerà nomi affini, pur con gli stessi intenti e le stesse norme” (G. PAGNANI, San Francesco d’Assisi e Ascoli Piceno, Ripatransone, 1983, 115-117). Siamo nell’anno 1460.
“Ventotto Monti di Pietà vennero eretti nelle Marche prima della fine del secolo. Tra gli Osservanti della Provincia Picena l’apostolo per eccellenza ne fu naturalmente Marco da Montegallo: forse ebbe parte nell’erezione del Monte di Pietà di Borgo S. Sepolcro, sorto il 1464 e il 1466, e in quella dei Monti di Macerata e Recanati dal 1468; sappiamo con sicurezza che li fondò a Fabriano nel 1470, con Statuti poi posti a paradigma dell’istituzione, e a Fano nel 1471; nello stesso 1471 forse diede il suo apporto all’istituzione di quello di Tolentino; li realizzò poi a Jesi nel 1472 e a Fermo nel 1478; rivitalizzò il Monte di Ripatransone nel 1479, intervenne in maniera determinante per l’erezione di quello di Roccacontrada (Arcevia) nel 1483.
Fuori regione, promosse il Monte di Pietà di Vicenza nel 1486; ispirò probabilmente quello di Ancona, sorto sicuramente qualche anno prima nel 1493, concludendo la sua attività in questo campo con la proposta al comune di Macerata nel 1492 dell’erezione di un Monte frumentario (l’istituzione, diffusa in quegli anni dall’Osservante Andrea da Faenza, che anticipava grano da restituirsi al tempo del raccolto). Ma Marco non fu il solo “montista” della Provincia. Della squadra marchigiana fecero parte il vecchio Giacomo della Marca, che nel 1466 fondava il Monte di Pietà dell’Aquila, con Statuti modello in cui veniva ribadita la liceità del prestito ad interesse; Domenico da Leonessa fondatore nel 1468 dei Monti di Pietà di Recanati e di Urbino, e promotore nel 1469 di quello di Fermo, portato poi a compimento da Marco da Montegallo; Francesco da Caldarola, che lo istituì nella sua città nel 1491, dopo aver antecedentemente dato vita alla Confraternita di Maria SS. del Monte alla cui cura il comune affidava l’ospedale e la pia istituzione.
E poi tutta una serie di frati meno noti, dei quali va almeno ricordato il nome: Antonio da Monterubbiano, Gabriele da Jesi, Francesco da S. Elpidio, Giacomo da Cagli, Giovanni da Fano, Francesco da Urbino, Giovanni da Fermo, Battista da Sassoferrato, Marco da Urbino, Francesco da Ancona, Antonio da Montemilone (Pollenza), Giacomo da Ripacerreta, Ludovico da Camerino, Lorenzo da Roccacontrada (Arcevia)” (A. GATTUCCI, Lo sviluppo dell’Osservanza minoritica (1368- 1517), in AA.VV., Il Francescanesimo nelle Marche. Storia, presenze, attualità, Movimento Francescano delle Marche, Ancona, 2000, 81).
Questa dei Monti di Pietà rimane una delle più belle pagine della storia religiosa e sociale del francescanesimo marchigiano, che ha segnato indelebilmente la storia di questa regione e di questa terra: forse si deve proprio a questa passione sociale e a quest’amore per i più poveri e bisognosi il legame così indissolubile, capillare e profondo dei frati francescani con questa gente.