L’itinerario ha inizio da Assisi e ripercorre il tracciato che S. Francesco ha percorso nei primi due viaggi che lo hanno portato nella Marca di Ancona, nel 1209 e nel 1210. C’è in Assisi, la bella città di Francesco, una porta, una delle tante porte della città, rivolta non verso la valle spoletana, ma verso il monte Subasio e che sull’arco interno contiene una lapide, una pietra medievale del 1199, quando il giovane brillante e promettente Giovanni, detto Francesco, aveva soltanto 17 giovanili anni, in cui c’è scritto tra l’altro: “Haec est porta qua itur in Marchiam”, ossia “Questa è la porta per la quale si va nella Marca”. Francesco la varcò più volte. Era il segno, per Assisi, che con la Marca si avevano relazioni, si scambiavano affari, si facevano operazioni di vario genere. Assisi aveva una porta verso le Marche e questa fu aperta proprio nel tempo in cui Francesco cominciava e sentire i primi sussulti di anelito di libertà e di apertura del cuore verso le più belle avventure della sua vita: quelle cavalleresche, dapprima, e quelle della fede, poi.
Girando attorno al Monte Subasio si raggiunge Nocera Umbra. Si prosegue, poi, per il valico del Cornello e si arriva alla Valle di Campodonico, dove si trova, e si trovava anche allora, l’antica Abbazia benedettina di S. Biagio.
Percorrendo tutta la valle, fino a Cancelli, dove si trovava al tempo di Francesco un’altra famosa Abbazia, quella di S. Maria d’Appennino, ora distrutta, si giunge all’imbocco della Valle di Camporege e si risale verso l’interno di essa, o salendo verso i monti Rogedano e Puro, e discendendo verso Valleremita, si trova l’Eremo di S. Maria di Valdisasso, antica torre di Sasso dell’VIII secolo e successivamente, dall’VIII al XII secolo, Monastero di monache benedettine.
Dalle carte delle biblioteche di Assisi e di Fabriano recentemente sono stati ritrovati dei documenti di grande importanza che svelano alcuni particolari importanti e significativi delle relazioni tra Francesco e la terra al di là degli Appennini. Tutto cominciò, come sappiamo, attorno al 1208, quando egli ebbe i primi tre compagni e con frate Egidio si diresse verso questa regione al di là degli Appennini, rispetto alla sua Assisi. Uno di questi documenti parla di una familiarità, di un’amicizia, che si era formata sul campo di battaglia tra Assisi e Perugia, nel 1200: la sua città alleata con l’Imperatore, mentre l’altra legata al Papa.
Il grande storico e sindaco della città di Assisi, Arnaldo Fortini, nel suo famoso studio su S. Francesco d’Assisi (A. FORTINI, Nova Vita di S. Francesco d’Assisi, Milano, 1926, 73 e G. PAGNANI I viaggi di S. Francesco nelle Marche, Milano, 1962, 18), enumera un elenco di giovani originari di Fabriano, ritrovato nei fondi della Biblioteca di Assisi, e sono più di una quarantina. Tra questi nomi, alcuni appaiono di grande importanza per ricostruire una pagina antica di storia francescana fabrianese, come un tal Guelfolino da Fabriano, Fidesmido di Carsedonio, i fratelli Guiderto e Girardo e Todino, figli di Donna Maria, vedova di Alberico di Gentile.
E tra i signori fabrianesi che donarono il terreno ai frati di S. Francesco, nel 1234, soltanto 8 anni dopo la sua morte, figura anche un certo Giraldo di donna Maria, una signora che ritroviamo anche in altre cronache delle origini francescane della città di Fabriano. Questa donna ospitò Francesco nella sua casa, certamente per qualche particolare ragione di conoscenza e familiarità di qualcuno dei suoi figli, come ci narra la cronaca autobiografica del Beato Francesco Venimbeni da Fabriano, nato nel 1251 e divenuto frate minore nel 1268. Dunque, un intreccio provvidenziale e singolare di storia civile, militare e religiosa, tra due città accomunate da un legame ideale di lotte civili per la conquista della libertà comunale e poi, interessate dalla vicenda di un uomo di nome Francesco, che rimase per sempre legato non solo agli amici, ma anche a tutta la città e la sua storia.
C’è un altro personaggio che lega ancora la presenza di S. Francesco a Fabriano: ed è il Venerabile, così è stato sempre chiamato, Don Raniero, Pievano di Civita. Raniero, come ci racconta il Beato Francesco Venimbeni e le altre cronache citate, fu più volte confessore di S. Francesco: «L’anno del Signore 1268, quando io ero novizio – dice il Beato Francesco nella sua cronaca – morì Fra Raniero che fu pievano di Civita, dal quale S. Francesco si confessò più volte, quando era pievano. E al quale, ispirato da Dio, predisse: Tu sarai dei nostri. Fu un uomo santo e vero Frate Minore». Il pievano Raniero, monaco del Monastero di S. Vittore alle Chiuse, fu tra i promotori della donazione del terreno per costruire il primo conventino dei frati a Fabriano nella zona di Cantiro.
Fabriano fu la città dei prodigi dell’amicizia umana e spirituale tra quel giovane di Assisi, che aveva cambiato la sua veste di battaglia in abito da povero pellegrino e mendicante dell’amore di Dio, e dei giovani compagni d’armi, che gli rimasero per sempre amici e benefattori, ed un prete che ascoltò le sue confessioni e non poté resistere al fascino della sua gioiosa povertà.
Nella zona di Fabriano, dunque, Francesco fece il suo primo viaggio “missionario”, gioia del Vangelo e la forza prorompente di una nuova maniera di testimoniare la fede, insieme al compagno frate Egidio, quando i seguaci del “poverello” erano appena tre.
Nel 1210 Francesco d’Assisi ritornò per una seconda volta a Fabriano ed in questa circostanza visitò l’Eremo di S. Maria di Val di Sasso. Abbiamo la testimonianza preziosa della Cronaca del Beato Francesco Venimbeni da Fabriano, che accenna alla venuta di S. Francesco a Fabriano in modo indiretto, ma tale da togliere ogni dubbio: «Nel 1260, quando io ero novizio, morì fra Raniero, pievano di Civita, dal quale S. Francesco si è confessato più volte, quando era pievano, predicendogli che sarebbe stato dei nostri. È stato veramente un sant’uomo e un vero frate Minore»
Nel 1334 i frati di Fabriano richiedono al Legato della Marca l’eremo di Valdisasso (sul lato opposto della strada che scende dal valico di Fossato) «perché c’era stato S. Francesco, benché il luogo fosse posseduto dalle monache di S. Maria della Porta del Piano» (cfr. G. PAGNANI, Assisi, S. Francesco, le Marche, in F. PICCIOTTI [ed.], Con S. Francesco nelle Marche, Bergamo, 1982, 14-15).
Nella città di Fabriano, sempre secondo la testimonianza del beato Venimbeni, e confermata dal Wadding, S. Francesco prefigurò il primo luogo un Convento francescano in città, chiamato e situato nella Valpovera, nome che al Santo piacque assai per le reminiscenze con il suo stile di vita. Donna Maria, madre di Gilberto, Giraldo e Todino, divenne per Francesco punto di riferimento per il suo soggiorno a Fabriano. “
Nel 1266 ci fu il trasferimento dei frati da fuori a dentro le mura della città, presso Porta Cervara, ed è il luogo che era chiamato S. Francesco vecchio. Passarono pochi anni e il 22 maggio 1282, per interessamento di Francesco Venimbeni, con l’aiuto del Podestà Marzucco degli Scornigiani da Pisa, il nobile Torsello di Bonaccorso di Rambaldo, cedette a modico prezzo 50 tavole di terreno, consistenti in case, torre, spiazzi, chiostro, giardino e botteghe, per poter costruire il terzo Convento dei frati francescani a Fabriano. La prima pietra della Chiesa fu posta l’8 maggio 1291, ma la costruzione fu completata soltanto un secolo dopo, la prima domenica di luglio del 1398, anche se durante il secolo XIV essa fu usata per le celebrazioni: è la monumentale Chiesa S. Francesco, detta poi delle logge, oggi purtroppo quasi completamente rovinata dalle disavventure delle soppressioni ottocentesche.
In occasione, dunque, della seconda venuta di S. Francesco a Fabriano, egli ebbe modo di visitare l’Eremo di S. Maria Val di Sasso, oggi nei pressi di Valleremita, che da quell’eremo ha preso il nome. Questo antico fortilizio dell’VIII secolo appartenuto al nobile Signore Sasso di Fabriano, che ha dato il nome alla Valle, donato dallo stesso e divenuto poi monastero di monache benedettine (secc. IX-XII), è collocato in luogo particolarmente meraviglioso per la natura che lo circonda e lo abbraccia, ricco di acqua e di vegetazione, di pace e di silenzio e divenne tanto caro non solo a S. Francesco, ma pure ai suoi figli e seguaci.
Della venuta di S. Francesco in questo luogo, ci parla uno degli storici dell’Ordine Francescano più significativi, Luca Wadding, un irlandese del XVII secolo, che riferisce un episodio che ha lasciato il segno da quelle parti: “Avendo sentito parlare che, a quattro miglia dalla città di Fabriano, alle radici dei monti Appennini, nella Valle di Sasso, tra le alture dei colli, lontano dalla folla e in luogo solitario vi era una Chiesa consacrata alla Beata Vergine Maria e accanto un Monastero lasciato dalle Monache di S. Benedetto, che a causa della guerra erano entrate dentro la città di Fabriano già da alcuni anni; sia per la grandissima devozione che aveva verso la Vergine Maria sia per l’incredibile amore per la solitudine, volle visitarlo per giudicare che se fosse stato adatto all’abitazione, lui lo potesse ottenere per i suoi frati, affinché non rimanesse un luogo senza il culto della Beata Vergine e perché in quel pio e solitario luogo i Religiosi potessero più comodamente dedicarsi alla meditazione delle cose celesti”.
Così, il Santo di Assisi con il compagno frate Egidio, desiderando visitare l’eremo di Val di Sasso, ma non conoscendo la strada, resa difficile dai vari sentieri che la caratterizzavano, quando si trovò all’inizio delle varie valli che portavano verso quella dell’Eremo, vicino al luogo in cui sorgeva il castello di Camporese, appena lasciata l’attuale strada statale che da Fabriano conduce verso Fossato di Vico, si imbatté in un contadino che stava arando il proprio campo e dovette chiedergli aiuto per raggiungere la meta. “Mentre S. Francesco si recava all’Eremita con un compagno e senz’altra guida ed entrambi erravano qua e là ignari della via, l’uomo santo chiese a un contadino, il quale stava arando un suo campo, che li accompagnasse guidandoli fino alla meta. Quegli adirato rispose: “Che? Io lascerò per voi l’aratro e consumerò nell’obbedire a voi il tempo che debbo occupare nella coltivazione? Ma il Santo Padre con carezzevole e pio discorso piegò quell’uomo promettendogli con la maggiore certezza possibile che non avrebbe speso alcun’ora invano e non avrebbe sofferto alcun danno per l’interruzione del lavoro agricolo. Guidati, dunque, i pii pellegrini al sito e ricevutane la benedizione, tornando al campo che nel partire aveva lasciato incolto, lo trovò già arato per intero” (L. WADDING, Annales Minorum, 1, 257; cfr. R. SASSI, Per una tradizione francescana di Fabriano, 5). Questo campo si chiama Camporegio, o Camporese, o Camporege e vicino ad esso si trova la chiesetta del XII secolo – si ha una pergamena che parla di essa proprio del 1215 - consacrata solennemente nel 1287, in onore della SS. Trinità, S. Leonardo, S. Luca e S. Maria Maddalena. Dopo un periodo di abbandono, nel 1927, essa fu poi di nuovo consacrata e dedicata a S. Francesco.
Così Francesco ed Egidio raggiunsero la meta dell’Eremo, salendo lungo il sentiero che nel tempo e ancora oggi si chiama di S. Francesco, a ricordo di quel tanto importante visitatore. Continua il Wadding: “Rimase, il Santo Padre in quel luogo per alcuni giorni, sommamente soddisfatto, procurandosi il cibo dalle abitazioni sparse per i monti, esplorando luoghi vicini dai quali i frati che avessero in futuro abitato quel luogo potessero procurarsi più facilmente il cibo. Inoltre, avendo disposto con prudenza tutte le cose e ottenuto il Monastero dalla nobile famiglia dei Sassi, procurò di collocarvi dei religiosi del suo istituto e volle che fosse chiamato Eremo di Santa Maria di Valle Saxea, vuoi per la moltitudine di sassi del monte vicino, vuoi per la valle e la zona così nominata del suddetto Signore della famiglia Sassi” (L. WADDING, Annales Minorum, 1, 257).
L’eremo, come istituzione di vita religiosa, costituisce nella vita e nella spiritualità di San Francesco e del suo Ordine un punto di riferimento essenziale, un luogo insostituibile per comprendere in pienezza il mistero dell’amore, il carisma della vocazione, la pienezza della missione.
L’eremo di S. Maria di Val di Sasso, rimase nella storia dei Frati Minori delle Marche uno dei luoghi più significativi e più cari all’Ordine e alla Provincia. Durante il ‘200 e ‘300 i frati vi abitarono non stabilmente e regolarmente, dislocandovi e provenendo dal locale Convento S. Francesco di Fabriano, finché nel 1405, Chiavello Chiavelli, signore di Fabriano, acquistò il Monastero e il bosco circostante, costruì il nuovo Convento che donò ai frati francescani e commissionò il famoso e meraviglioso Polittico di Gentile da Fabriano, denominato Polittico di Valle Romita, raffigurante l’Incoronazione della Vergine, con la Trinità e con i Santi Girolamo, Francesco, Domenico e Maria Maddalena. In basso; nelle formelle superiori, abbiamo: Giovanni Battista, Pietro da Verona, Antonio di Padova e Francesco che riceve le stimmate. Al centro nella cuspide superiore la crocifissione con la Madonna e S. Giovanni. L’originale si trova nella Pinacoteca Brera di Milano, mentre attualmente nella chiesetta dell’Eremo si trova una bellissima copia. Lo stesso Raffaello Sanzio, volle salire all’Eremo per ammirare la bellezza di questo capolavoro dell’arte italiana.
Fu per opera del grande frate Beato Francesco o Cecco della Libera da Fabriano, che alla fine del ‘300 aveva aderito alla riforma iniziata dal Beato Paoluccio da Trinci nell’Eremo di Brogliano, che l’Eremo ritrovò la sua vitalità, la sua importanza e la sua più caratteristica fisionomia. Questo frate, compagno di Paoluccio, aiutato dal beato Antonio Puro, fu il primo Vicario dell’Osservanza nelle Marche e fece di quest’Eremo la prima sede della Vicaria marchigiana, il suo punto di riferimento e di diffusione. In questo santo luogo abitarono S. Bernardino da Siena, S. Giacomo della Marca, S. Giovanni da Capestrano, il Beato Marco da Montegallo e tanti altri santi frati che lo resero tra i più importanti e ricchi di preghiera e di santità del mondo francescano. Nel 1660 il Padre Guardiano Angelo Maria Righi da Fabriano, aumentò i locali, aggiungendo due lati antistanti e laterali alla chiesetta, fino a raggiungere 40 stanze. Nel 1810 i frati lo dovettero lasciare della soppressione napoleonica. Vi ritornarono nel 1816. Ma, purtroppo, di nuovo dovettero forzatamente e dolorosamente abbandonarlo nel 1865, a causa della soppressione italiana. Quella reggia così splendente e luminosa di santità, quel luogo così ammirevole di silenzio, di pace e di spiritualità, dovette subire i danni dell’abbandono e dell’incuria dei tempi.
A partire dal 1938, gradatamente, anno dopo anno cadde in rovina: abitato dai pastori e dai carbonai del luogo, perdette a poco a poco la sua maestosità e la sua superba bellezza. Divenne sempre più umile e povero. Fino a quando nel 1965 era ormai praticamente ridotto in macerie, salvo una parte della chiesetta e un lato del Convento ad essa antistante. Nel 1966 il povero e silenzioso Eremo ritornò a cantare ed è stato di nuovo restituito al sorriso dei figli di Francesco e allle preghiere, alla musica, alle lacrime ea i desideri del cielo, e all’amore per la gente. Da allora, l’Eremo di Santa Maria di Valdisasso è tornato ad ospitare una piccola comunità che ha permesso a quelle mura di ritrovare la loro originaria destinazione. Attualmente l’Eremo, di proprietà della Regione Marche, è stato totalmente restaurato, ricostruito proprio dalle mura e con le dimensioni e le caratteristiche originarie: è stato riaperto nel 2015, con la possibilità di avere ambienti oltre che destinati alla comunità dei frati, anche per la foresteria ed attività culturali. La presenza di S. Francesco a Fabriano ha impresso un impulso ed una vitalità che si sono diffusi nei secoli successivi attraverso figure, luoghi e istituzioni molto significative.
Dopo la costruzione dei primi tre Conventi successivi a Fabriano, ossia Cantiro (1234), del quale abbiamo ricordato le origini; San Francesco vecchio a Porta Cervara (1266), abitato per poco tempo e andato distrutto, ed infine San Francesco a Val Povera (1291), oggi San Francesco delle Logge, la presenza delle realtà legate al Santo di Assisi, ha avuto altre profonde e radicate espressioni nella città della carta e della filigrana.
Nel Convento di San Francesco, voluto dal Beato Francesco Venimbeni, si realizzò una delle più belle Chiese francescane della Regione, lunga 56 metri, a tre navate, senza transetto, con abside poligonale e presbiterio rialzato. La Chiesa fu danneggiata dal terremoto nel 1741, fu ristrutturata tra il 1781 e il 1788; subì le soppressioni napoleonica (1810) e italiana (1860- ‘65), venne in parte demolita nel 1864. In essa si custodivano opere d’arte di grande valore, come cinque opere di Carlo Crivelli, tra cui la Pala dell’Incoronazione della Vergine, attualmente alla Pinacoteca Brera di Milano, e della Madonna in Trono con Bambino, oggi alla National Gallery di Londra; inoltre si conservava un’altra Incoronazione della Vergine di Antonio da Fabriano, oggi a Vienna. Il Convento, solo in piccola parte conservato, aveva chiostro e orti. Il loggiato fu realizzato nel XV secolo, ingrandito nel 1636 e ristrutturato alla fine del XVIII secolo: costituisce la più notevole attuale vestigia dell’antico glorioso Convento.
La costruzione della Chiesa e del Convento dell’Eremita novella o S. Maria delle Grazie o della SS. Annunziata, fu iniziata dai frati dell’Osservanza nel 1491, come sede vicina alla città per la loro famiglia religiosa. Nella Chiesa si conservavano varie opere d’arte, tra cui le più notevoli di Filippo Bellini, la maggior parte disperse. A seguito della soppressione napoleonica fu abbandonato. In gran parte demolito nel 1820’23, fu acquistato e adibito a casa privata nel 1905. Rimangono soltanto degli archi, delle lunette affrescate a ricordo dell’antica fisionomia. Cacciati dall’Annunziata e dall’Eremo di Val di Sasso, i francescani accettarono la Chiesa e il Convento degli olivetani di S. Caterina, dove ancora vivono, accanto all’attuale Casa di Riposo, che dai tempi della soppressione italiana ha acquisito gran parte dell’antico Convento e il chiostro, uno dei primitivi eremi da essi abitati e dove vennero redatte le prime Costituzioni dell’Ordine dette appunto di Albacina (1539). Nei pressi della città di Fabriano essi ebbero tre diversi Conventi: da S. Maria del popolo, fondato nel 1538, passarono a Pretara, ossia Monte Calvario, sulla strada verso Collepaganello, ed infine, a La Tomba, con la Chiesa e il Convento S. Giuseppe, inglobato nell’attuale Istituto Agrario. Quanto alle Clarisse c’è da ricordare che, oltre l’antico Monastero di S. Girolamo, poi S. Onofrio, esse si insediarono dapprima nel Monastero S. Chiara, poi S. Bartolomeo, vicino a Porta Cervara, poi adibito a Carcere, quindi si trasferirono nell’antico Monastero Camaldolese di S. Damiano, poi S. Romualdo, dove si trovavano fino a pochi anni or sono, con l’antico nome di S. Bartolomeo.
Tra le istituzioni francescane più significative è, infine da ricordare il Monte di Pietà, istituito nel 1470, dal Beato Marco da Montegallo, Guardiano del Convento di Val di Sasso. San Francesco, in quell’anno 1210, proseguendo il suo viaggio di araldo del Vangelo, si inoltrò nella valle dell’Esino, e visitò poi il luogo di Favete o Faete, nei pressi di Apiro, dove si conserva tutt’oggi una chiesetta a lui dedicata. Quindi proseguì per Staffolo, in provincia di Ancona, dove fece scaturire una fonte di acqua prodigiosa (oggi Fonte di S. Francesco).
Attorno alla valle tracciata dal fiume Esino, si ergono diverse città o piccoli paesi, che raccontano una bella, gloriosa e lunga storia francescana.
Concludiamo l’itinerario di S. Francesco nella terra di Fabriano e dintorni con la visita e presentazione della presenza francescana nella città di Sassoferrato. Questo antico castello è situato a poca distanza dalla città romana di Sentinum, famosa per la battaglia del 295 a.C., tra i Romani contro i Galli, Umbri e Sanniti, che la assoggettò al potere di Roma.
La prima memoria che lega la città alla vita di S.anFrancesco è un giovane soldato che aiutò Assisi nella famosa battaglia contro i perugini per respingere il ritorno dei nobili nella città, dopo che ve ne erano stati cacciati nel 1198, quando Francesco aveva solo 16 anni. Ebbene, una volta che i nobili rifugiati sia Perugia, riuscirono a rimettere insieme le forze, aiutati dai nobili consanguinei perugini, si ribellarono al nuovo governo della loro città di origine, mentre Assisi, meno attrezzata e preparata, dovette fare ricorso a cavalieri e soldati di ventura delle vicine città in piena conquista delle libertà comunali. Era l’anno 1202, Francesco aveva 20 anni. Tra quei compagni c’è un tale “Ugo di Sassoferrato” (cfr. A. FORTINI Nova Vita di S. Francesco d’Assisi, Milano, 1926, 73 e G. PAGNANI I viaggi di S. Francesco nelle Marche, Milano, 1962, 18).
A Sassoferrato si venera il Beato Ugo degli Atti, monaco silvestrino del XIII secolo, ma nessuno fino ad ora ha mai identificato questo monaco con questo compagno della prima ora di Francesco di Assisi.
Se a Fabriano Francesco trovò ospitalità nella Casa dei figli di Donna Maria, che erano stati compagni di ventura, chissà se uesto primo legame con la città di Sassoferrato abbia avuto un seguito alla battaglia ed un germe di una nuova storia di altre battaglie per altri ideali. Quanto al passaggio di San Francesco in questo luogo non abbiamo notizie storiche certe, anche se P. Candido Mariotti, nella sua opera “I primordi dell’Ordine minoritico nelle Marche” (pp. 19-21) vorrebbe darne qualche fondamento: abbiamo, però, una delle testimonianze più eclatanti e attendibili della vivacità di un germoglio e dello sviluppo di una radice, ossia due figure di Santi frati che hanno segnato in maniera indelebile le origini della storia francescana di questa sede.
Il primo è S. Nicolò o Nicola, uno dei 7 martiri di Ceuta in Marocco, altrimenti considerati in toto calabresi, che subirono il martirio il 13 ottobre 1221, ancora vivente San Francesco; il secondo è il Beato Pietro, che insieme al Beato Giovanni da Perugia, conseguì la vittoria del martirio a Valenza, in Spagna, allora sotto il potere dei Mori, il 20 agosto 1231. Di questi due santi locali rimane la memoria in una chiesetta, nel luogo in cui si dice che siano nati, recentemente restaurata, in zona Case Caggioni, vicino a Cabernardi.
Il primo insediamento francescano a Sassoferrato, dunque, è quello dell’antica Chiesa di San Marco, assegnata ai frati prima del 1248, secondo quanto ci dice il Wadding (Annales Minorum ad ann. 1290, vol. V, 274). La Chiesa viene ingrandita e consacrata a S. Francesco. Ebbe varie indulgenze e donazioni, ma, perdette la presenza dei frati nel 1653, a seguito della soppressione innocenziana, decretata dal Papa Innocenzo X, che volle la chiusura di quei Conventi non sufficientemente autonomi nelle rendite e nel numero dei religiosi. Fu una triste storia che non permetteva ad un Convento così significativo e ad una chiesa così ricca di opere d’arte, come vedremo, di sopravvivere alle vicende dei tempi. Vi subentrarono quattro sacerdoti e il Convento fu poi trasformato in calzaturificio, oggi in ricovero per anziani.
La Chiesa si presenta ancora oggi nella sua tipica, semplice e lineare struttura francescana del ‘300, con la facciata a capanna, il portale gotico, l’abside quadrata e l’aula interna ad una sola navata.
Quanto alle opere d’arte presenti nella Chiesa e nel Convento sono da ricordare: la bella Croce dipinta attribuita dal Boskovits a Giovanni da Rimini e da altri al fratello Giuliano. Siamo negli anni 20 del ‘300.
Si possono ammirare due frammenti di affreschi di scuola fabrianese del XIV secolo; un’opera d’olio su tela del pittore arceviese Ercole Ramazzani (1530-1598), Allegoria del cordone di S. Francesco, del 1589; una pala di altare, dipinta ad olio, la Circoncisione di Gesù di Giovan Francesco Guerrieri di Fossombrone (1589-1659) del 1615; una pala d’altare dell’Immacolata Concezione, attribuita a Pietro Paolo Agapiti, di Sassoferrato (1470-1540), del 1514 circa; un monumento sepolcrale del XIV secolo, del B. Alessandro Vincioli, Frate Minore e Vescovo di Nocera Umbra, morto a Sassoferrato nel 1363.
Nel chiostro si notano le due finestre e la porta tipiche della sala capitolare e le lunette sono dei pittori Tarquinio e Francesco Salvi, della fine del ‘500. Accanto a questo primo Convento francescano si insediarono a Sassoferrato le figlie di San Francesco e di S. Chiara, ovvero le Sorelle Povere o Clarisse. L’origine del Monastero si fa risalire da alcune cronache settecentesche ad una cugina di S. Chiara originaria di Genga, che si ritirò a Sassoferrato per condurre vita di penitenza in un povero tugurio. Presto, edificate dal suo comportamento, alcune giovani si unirono a lei e fu loro affidata la chiesa dei Santi Nicolò e Agnese (XIV secolo). Cresciuto ancor più il numero delle monache, nel secolo XV si ebbe la necessità di costruire la Chiesa e il monastero nelle adiacenze dell’antico manufatto. Pur avendo sperimentato le soppressioni napoleonica e dell’unità d’Italia, le antiche custodi di questo luogo di preghiera e di virtù, riuscirono a mantenere la loro presenza e la sua custodia. La Madonna delle Grazie, custodita nell’omonima chiesetta adiacente a quella maggiore, è un’antica icona, che suscita grande devozione. Varie opere d’arte e di grande valore si conservano nella Chiesa e nel Monastero, recentemente assai ben restaurato, dopo i danni del terremoto. Nella parete sinistra della Chiesa si conserva, un affresco della Natività, di Antonio da Pesaro ed un altro, distaccato, dello stesso autore raffigurante l’Annunciazione. Tre opere di pregevole fattura del famoso artista Giovan Battista Salvi, detto il Sassoferrato, sono conservate e custodite all’interno del Monastero: la Vergine orante, la Vergine addolorata e l’Annunciazione. Nell’altare maggiore una grande tela di S. Chiara di Ugolini da Perugia. Nell’altare di sinistra un’Annunciazione di autore ignoto, del sec. XVII; ugualmente di autore ignoto, nell’altare di destra S. Giacomo della Marca, S. Francesca Romana e S. Stefano; infine, in sagrestia, una tela della Deposizione di Ezio Bartocci. Alla fine del ‘400 vennero a stabilirsi in questo castello i Frati Minori Osservanti. Iniziarono dapprima col fondare nel paese il Monte di Pietà nel 1472, grazie alla predicazione del Padre Giovanni da Fermo. La richiesta al Provinciale fu fatta nel 1497 e nel 1499 si decise di edificarlo presso la Cappella di S. Maria della Pietà, nella zona di una collina vicina e prospiciente al castello, verso il borgo. La Chiesa edificata a nuovo fu portata a termine e dedicata alla Madonna della Pace nel 1513, grazie al contributo di vari benefattori, tra cui spiccano le sorelle Cherubina e Alberica Adriani, e con l’approvazione di Papa Giulio II, che con un Breve autorizzava la costruzione del tempio. Contemporaneamente veniva edificato il Convento, abitato dai frati a partire dal 1518. Nei secoli successivi i frati ampliarono il Convento e abbellirono la Chiesa. Anche questo sito conserva preziose opere d’arte sia del passato che dei nostri giorni: una tela del Ramazzani con la Vergine con il Bambino, e i Santi Giuseppe, Francesco, Bernardino e Bonaventura; tre opere di artisti viventi o contemporanei: una tela di Bruno di Arcevia con la Madonna, S. Giacomo della Marca e S. Pacifico, S. Nicolò e il Beato Pietro da Sassoferrato; una pala di altare di S. Francesco di Alessandro Bruschetti e, dello stesso autore, una grande opera del Giudizio universale in astratto nella cappella interna del Convento. Nel chiostro trecentesco si conservano 16 lunette affrescate di Tarquinio Salvi, padre e maestro di Gian Battista. Negli anni ’60 fu costruito il nuovo Convento e Seminario, demolendo in parte il vecchio.
Nel 1500 arrivarono anche i Frati Cappuccini. La costruzione della Chiesa, dedicata a S. Paolo Apostolo, fu iniziata nel 1577. Il Convento succedette di seguito. Dopo la soppressione del 1867 i frati dovettero dapprima limitare la loro presenza e attività; nel 1875 vi fu costruito il cimitero; nel 1884 forzatamente lo abbandonarono. Nel 1950-60 tutto fu demolito per lo stato deplorevole in cui era ridotto. Oggi non rimane più nulla, solo la strada di accesso, Via dei Cappuccini, che ne ricorda la storia e ne tramanda la memoria.
L’itinerario si reimmette nella Vallesina, passando per la Gola di Frasassi, con le famose Grotte, stupendo monumento della natura, formato da varie cavità e passaggi, ornati di stalattiti e stalagmiti di forme fantastiche e rara bellezza, che un’apposita illuminazione valorizza. Merita una sosta anche la vicina abbazia di S. Vittore alle Chiuse, con suggestiva Chiesa romanica a pianta centrale.
Si potrebbe anche giungere fino ad Arcevia per ammirare vari luoghi francescani di questa antica città, denominata Roccacontrada. In questo luogo ameno, posto su una collina alla fine della valle del Misa, si può scorgere la visione fino al mare di Senigallia. Dentro e fuori delle sue mura si trovano ancora le vestigia di antichi e prestigiosi luoghi francescani.
Innanzitutto, il complesso di S. Francesco, chiesa e chiostro, restaurato quest’ultimo per collocarvi il museo e alcuni ambienti comunali. La Chiesa ed il Convento S. Francesco risalgono al XIII secolo e testimoniano anche in questo paese la presenza francescana radicata e secolare, fin dalla prima ora. Varie sono le espressioni ancora vive delle presenze dei vari Ordini francescani e ricche ciascuna di arte, architettura, storia, spiritualità e tradizione.
Accanto alla chiesa ed al chiostro di San Francesco dei Frati Francescani Conventuali, si insediarono ad Arcevia sia i frati Minori che i Cappuccini. I Frati Minori, fino all’inizio del 1900 ebbero due Conventi: S. Martino e S. Giovanni Battista.
I cappuccini si collocarono sul colle che poi prese da essi il nome con la chiesa ed il Convento. Dentro le mura della città si trovano anche le Monache clarisse, oggi purtroppo emigrate altrove, perché ridotte a piccolo numero: restano il monastero e la chiesa della Madonna del suffragio. Merita una visita il castello di Serra S. Quirico, con l’antica chiesa di S. Francesco, senza perdere l’occasione di visitare la splendida chiesa barocca di S. Lucia, antico Monastero benedettino silvestrino e, lungo il percorso dell’Esino, la romanica Abbazia di S. Elena.
Presenze francescane si possono ritrovare sia a Cupramontana, nell’antico Convento di S. Giacomo de La Romita, dove riposa il Beato Giovanni Righi da Fabriano (1539) e dove è conservata una terracotta dell’Agapiti, con la Beata Vergine Maria e i Santi. Qui, accanto all’Eremo camaldolese dei Frati Bianchi, sorge questo luogo ricevuto e voluto nel ‘400 da San Giacomo della Marca, per contrastare la confusione e gli scempi perpetrati nella zona dai Fraticelli e per costituire accanto alla città un baluardo di autentica vita religiosa, di fedeltà alla Chiesa e all’ideale evangelico. Qui riposa il Beato Giovanni Righi da Fabriano che, dopo aver dato testimonianza di vita santa e di carità verso la gente, chiuse i suoi giorni nella pace, mentre miracolosamente le campane suonavano a festa. La Romita è uno di quei luoghi che hanno sempre atteso le ore della rinnovata fedeltà alla Regola di Francesco per offrire ai profeti e ai sognatori di tutti i tempi, il clima e lo slancio per nuove avventure di vita evangelica.
Scendendo dalla collina di Cupramontana, si può facilmente poi risalire verso l’antico paese di Apiro, dominato dalla mole del Monte S. Vicino. A metà strada si raggiungono le rovine dell’eremo di S. Francesco di Favete (con piccola, graziosa chiesa, oggi in proprietà privata), appartenuto alla vicina abbazia di S. Urbano, molto probabilmente visitato da Francesco in uno dei suoi viaggi nella Marca. Dentro la città di Apiro si possono ammirare sia la Chiesa, con il bellissimo portale, e l’antico Convento S. Francesco, sia la Chiesa ed il Monastero delle Clarisse.
L’itinerario prosegue per Staffolo, grazioso paese di origini longobarde. Nella campagna di Staffolo è possibile fare sosta a una fonte miracolosa fatta scaturire da S. Francesco di passaggio e perciò circondata dalla devozione locale. Sopra la fonte oggi sorge una piccola chiesa dove si conservava una lapide a caratteri gotici fatta apporre dal Ministro Generale Crescenzio da Jesi (1244-1247) a ricordo del passaggio di Francesco. Staffolo, conserva anche la Chiesa e parte del chiostro S. Francesco del XIII secolo, con un bellissimo portale gotico trecentesco. L’interno, ricostruito in stile barocco, è ad un’unica navata. L’attuale struttura presenta un arco trionfale a pieno centro e la cupola a catino. Vi sono conservate opere di notevole prestigio: l’Eterno Padre e quattro Santi di Maffeo Verona (1576-1618), Madonna e Santi di Filippo Bellini (1530 -1603), altre tele barocche, in una delle quali c’è una raffigurazione di Staffolo del sec. XVI-XVII. L’organo del celebre organaro veneto Gaetano Callido è stato restaurato nel 1989. All’esterno è posto il campanile a pianta ottagonale e poggiante direttamente sulla scarpata delle mura.
Si potrebbe, a questo punto fare un fuori-programma e visitare Cingoli, data la sua importanza nella storia francescana della Regione, con i suoi vari luoghi storici. Dapprima la chiesa S. Francesco, esistente già nel 1235; riedificata nel 1795, e perduta dai Frati Conventuali nel 1861. Rimane oggi il portale romanico della fiancata destra della chiesa, attribuito al maestro Giacomo di Cingoli, come quello di S. Esuperanzio e un pregevole crocifisso ligneo del ‘550, ora nella sagrestia di S. Esuperanzio. I Frati Minori Osservanti ebbero, dal 1448, per merito di S. Giacomo derlla Marca, il Convento di S. Giacomo Apostolo nella collina di Colle Luce, già Monastero cistercense. Esiste ancora oggi l’antico portale romanico traslato dalla fiancata laterale della chiesa, il chiostro trecentesco dell’antico monastero, una cappella del Crocifisso nella fine del ‘400, il coro ligneo. Oggi la proprietà dell’antico Convento è diventata privata, mentre nel nuovo Convento si trova iuna piccola comunità di suore francescane, che si dedicano all’accoglienza delle mamme con i loro bambini.
I Frati Cappuiccini, dopo aver abitato nell’eremo di S. Angelo sul Monte Acuto, costruirono vicino alla città quello diella Santa Croce, nel 1569. Oggi, sebbene senza una residenza stabile dei religiosi, la costruzione è stata rifatta negli anni trenta del ‘900. Le Clarisse avevano a Cingoli il loro Monastero di Santo Spirito fondato nel 1469, per opera di S. Camilla Battista Varano. Concluse la sua storia nel 1810 e continuò con la sede della Maestre Pie.
L’itinerario prosegue per Jesi, città capoluogo di Custodia francescana, che conserva il ricordo del passaggio di S. Francesco soprattutto per la monumentale chiesa di S. Francesco, oggi detta di S. Marco, con affreschi di scuola riminese del 1300. La chiesa davvero monumentale, è oggi sede del monastero delle Monache Carmelitane, che fin dal sono state insediate in questo antico luogo francescano della città.
Accanto ad esse c’è oggi un Monastero di Monache Clarisse, e poco distante la Chiesa ed il Convento dei Frati Cappuccini di S. Pietro Martire, dal cui nome si arguisce essere stata in antico sede del Convento dei Frati Domenicani.
Risalendo la Via Gramsci si arriva all’attuale sede del Ricovero per anziani, antica ubicazione della Chiesa e del Convento di S. Francesco al Monte.
I Frati Francescani si sono ora insediati nella Chiesa e Parrocchia di S. Francesco d’Assisi, mentre i Conventuali, si erano trasferiti dentro le mura della città, nella sede di S. Floriano, nella Piazza Federico II, vicini alla Cattedrale.
Proseguendo verso il mare e verso Ancona, si incontra l’antico Convento di Castel d’Emilio nel Comune di Agugliano, sede di memorie storiche di santi frati, come il Beato Filippo da Todi o da Staffolo, del 1400, operatore di prodigi e miracoli, una cui rappresentazione in tela si trova nel Museo diocesano di Ancona.
E così, passando per Falconara Marittima, si giunge al mare ed al porto di Ancona, dove Francesco d’Assisi, sognava di raggiungere l’Oriente, la Terra dei Signore, la conversione degli infedeli e la morte per martirio, così da pareggiare il suo Signore. E qui la storia continua, non più per terra, ma per mare, fino a Damietta, dove i soldati cristiani facevano la guerra e dove il povero ed umile Francesco faceva la pace.