Anche se non si ha memoria di un passaggio di San Francesco nei luoghi adiacenti alla città di Ascoli, se non in un luogo confinante, quale quello di Castiglioni, tra i vicini paesi di Appignano del Tronto e Castignano, si può e si deve tenere presente che non si è però lontani da poter ritrovare alcune tracce di un passaggio forse fugace, ma pur sempre importante e gravido di conseguenze: come poteva, infatti, questa zona dare tanti frati all’Ordine, se il passaggio del fondatore non fosse stato e rimasto così profondamente impresso in coloro che l’avevano accolto, ascoltato, e poi seguito? Dopo varie argomentazioni, lo storico marchigiano conclude che a suo parere “il solo Castiglioni ha le probabilità di essere stato visitato da San Francesco” (ivi, 100). C’è dunque attorno un’aura, un profumo di un passaggio, di un dono, di un ricordo non tanto lontano del Santo di Assisi. Ebbene, nell’elenco più antico che noi possediamo dei primi insediamenti francescani della Marca di Ancona, ricorre, tra quelli attribuiti alla Custodia ascolana, Castellionis, ossia Castiglioni, divenuto col tempo Convento di San Francesco al Gallo, come viene nominato, da una donazione di due soldi da una certa Domina Marinuccia, moglie di un tale Antonio Angeletti di Appignano. Paolino da Venezia, infatti nella “Cronologia Magna”, conservata nella Biblioteca Vaticana (codice Vaticano Latino 1960, del 13231334), ci riporta questo sito. Bartolomeo da Pisa, alla fine del Trecento lo conserva ancora con lo stesso nome, e vi aggiunse il “locum de Pignano”, ossia quello di Appignano del Tronto.
Tale sito, ad un chilometro e mezzo circa da Appignano e tra Offida e Castignano.
Ciò fa pensare al legame antico dei frati con i luoghi dedicati al santo militare protettore dei poveri, dei malati e dei pellegrini.
Ad Appignano del Tronto il processo di inurbamento si sviluppava così: dai luoghi di campagna e vicini alla povera gente e alle relative pievi nelle strade di comunicazione, si passava alla città o al castello, dove era più facile per essi dedicarsi alla cura animarum, all’assistenza dei poveri e bisognosi, accanto a coloro che diventeranno sempre più beneficati e benefattori, amici spirituali e sostenitori delle esigenze umane, materiali quotidiane di una comunità in crescita e sviluppo, con esigenze sempre più adeguate al cambiare dei tempi e ai bisogni del popolo. Una attestazione della ubicazione della chiesa e del convento dei Padri Conventuali, si trova in un Disegno di Appignano nello Stato d’Ascoli del sec. XVIII nell’Archivio di Stato di Roma (Ivi, 30 particolare e 32).
Al Convento di Appignano Nicolò IV donò una reliquia della Croce Santa, tanto preziosa e venerata dal popolo appignanese, che ha accompagnato la storia religiosa di Appignano lungo i secoli, con la celebrazione solenne della festa, il 3 maggio, e con la istituzione di una Confraternita e di un altare e di un reliquiario prezioso nella Chiesa di San Francesco: di tale donazione parlano sia il Padre Orazio Civalli nella citata Visita triennale del 1596 sia il P. Ilario Altobelli nella Genealogia del 1620, sia il Wadding nei suoi Annales.
Il Convento e la Chiesa di san Francesco, però, si trovavano in un luogo insicuro a causa del fosso di S. Giovanni che passa proprio vicino alle mura in cui sono costruiti. Sicché, data l’impossibilità di riparare ai danni che questa continua minaccia d’acqua procura, il Papa francescano e marchigiano Sisto V, provvide ad assegnare ai frati francescani conventuali di Appignano, con una Bolla del 1586, la Chiesa parrocchiale di Sant’Angelo, che assunsero effettivamente solo nel 1620 e dove trasferirono la preziosa reliquia della Santa Croce e altri arredi sacri. Dopo pochi anni, nel 1652, a seguito della soppressione dei piccoli conventi decretata da Innocenzo X, i frati dovettero lasciare il loro antico Convento.
Vi fecero, però, ritorno 11 anni dopo, nel 1663. Negli anni venti del ‘700, a causa di una frana rovinosa che ha interessato lungo i secoli la parte del paese in cui si trovava il sito francescano, sia il campanile che la Chiesa e il Convento di San Francesco precipitarono lungo il fondovalle. I frati, si trasferirono dapprima in un’abitazione, officiando la Chiesa di Sant’Angelo, quindi, con le offerte del popolo e con la vendita di qualche bene riuscirono a costruire un nuovo Convento che alla data del 15 settembre 1743 risulta terminato (Ivi, 102), e prese il nome di Sant’Angelo, come la Chiesa che i frati avevano avuto in custodia. Essi continuarono la loro preziosa ed antica testimonianza di vita e di servizio pastorale fino al 19 giugno 1808, con la tragica e infausta soppressione generale degli ordini religiosi decretata da Napoleone Bonaparte, anche se un frate rimase ad Appignano ad officiare la Chiesa di Sant’Angelo fino al 1815. Il nuovo Convento è oggi la sede del Municipio. La Chiesa, invece, è sede della Parrocchia.
Questa è la storia di una presenza, che ha lasciato le tracce della fede e dell’amore dei figli di San Francesco in una reliquia preziosa e ancora oggi tanto venerata, in una Chiesa e in un Convento, che seppur abitati da altri inquilini, testimoniano ancora una traccia che porta fino ai primi anni dell’avventura francescana nel Piceno. Ma la ricchezza francescana di Appignano non si ferma ai monumenti architettonici e alle preziose testimonianze di devozione.
Dobbiamo, infatti, fare riferimento e comprendere la terza nota caratteristica della presenza francescana in Appignano del Tronto, ossia quella del più illustre tra i suoi figli e maestri: Frater Franciscus Rubeus de Apponiano ovvero de Esculo, o de Marchia, che è stato uno dei grandi maestri di teologia a Parigi di certo negli anni 1319-1323 (per le notizie seguiamo per lo più D. PRIORI-M. STIPA, Francesco d’Appignano Doctor succinctus [Quaderni Appignanesi, Anno I, n. 1 - Maggio 2005], Edizioni Centro Studi Francesco d’Appignano, Appignano del Tronto, 2005). Il nome cambia a seconda che si voglia fare riferimento alla sua città di origine, al capoluogo della sua Custodia, alla Provincia religiosa di appartenenza. Quanto al cognome o al soprannome Rubeus o Rubei, ossia Rosso o Rossi, è probabile che faccia riferimento al colore dei suoi capelli o a qualche particolare caratteristica del suo casato. Il Padre Nazzareno Mariani, della Provincia Picena, ha dedicato questi ultimi 20 anni ormai alla riesumazione e pubblicazione delle opere di questo grande e significativo maestro francescano, definito “doctor succinctus”, del periodo iniziale del XIV secolo, per cui oggi possiamo conoscerne più approfonditamente il pensiero e la forza del ragionamento: Francesco è uscito finalmente dalla piccola cerchia di conoscenza degli specialisti ed è ridivenuto un protagonista del pensiero francescano medievale: sono uscite in questi anni varie opere, soprattutto il Commento alle Sentenze e la Improbatio o Contestazione a Giovanni XXII. Dato che nel 1305-6 era studente del grande teologo francescano Giovanni Duns Scoto, maestro a Parigi, possiamo arguire che la data della sua nascita debba essere portata agli inizi degli anni 80 del ‘200. All’Università di Parigi e all’interno dell’Ordine, come pure nella Chiesa e nei vari regni del tempo si vivevano momenti particolari di tensione sia per le questioni che dividevano i maestri secolari da quelli regolari, sia soprattutto per la grande questione della povertà che da dentro l’Ordine francescano era uscita ad interessare anche la Chiesa nel suo complesso, sia per la lotta tra il potere spirituale del Papa, che diveniva sempre più temporale, e quello temporale dell’Imperatore e degli altri regnanti, che reciprocamente invadevano il campo l’uno dell’altro. Il nostro frate filosofo e teologo non rimase estraneo a queste vicende, essendo per temperamento e per convinzione più un protagonista che uno spettatore.
Nel Capitolo generale di Perugia del 1322 i francescani avevano affermato che è da ritenere assolutamente certo e conforme al Vangelo che Cristo e gli Apostoli non avevano posseduto nulla, né in comune né in privato. Il possesso dei beni, dunque, non corrispondeva alla purezza evangelica, ma era qualcosa che contrastava con l’originalità cristiana della vita, soprattutto per chierici e religiosi. Questa affermazione e dichiarazione, che circolava da tempo all’Università ed era sostenuta soprattutto dai maestri francescani. Per il Papa Giovanni XXII e per il mondo ecclesiastico una simile affermazione contrastava con i principi del sistema giuridico che soggiaceva alla vita dei chierici, ossia il sistema del “beneficium” legato ad ogni “officium”, voluto di per sé per contrastare l’accaparramento di beni da parte di uomini di Chiesa. Tra i firmatari della dichiarazione del Capitolo generale figura anche il nostro frate Francesco d’Appignano. Il Papa Giovanni XXII fu decisamente contrariato dalla presa di posizione dei francescani, al punto tale che reagì energicamente sia affermando con un decretale del 12 novembre 1322 che condannava come eretica l’affermazione che Cristo e gli Apostoli non avevano posseduto nulla né in comune né in privato sia con un’altra decretale del 12 dicembre 1322 restituendo ai Francescani i loro beni, che erano stati attribuiti alla Santa Sede da Papa Innocenzo IV nel 1245. Il Papa voleva che il Generale dell’Ordine, Michele da Cesena, si sottomettesse alle decisioni papali, ma questi, insieme a Francesco da Appignano, Guglielmo da Ockam e Buonagrazia da Bergamo, non solo non accettò di rinunciare alle posizioni teologiche, ma portò di nuovo argomenti a favore della tesi contraria e definì per contrasto la posizione del Papa stesso come eretica. La sorte del Generale, come del nostro Francesco e degli altri frati era segnata. Il Papa li scomunicò. Fuggiti a Pisa, si incontrarono con l’imperatore Ludovico il Bavaro. L’Ordine, nel Capitolo generale di Parigi del 1329 nominò un altro Generale, Guiral Ot, amico del Papa e condannò Michele da Cesena e i suoi compagni. Francesco da Appignano ebbe l’ardire di recarsi a Parigi per cercare di convincere il Re e la Regina di Francia ad abbracciare le tesi della povertà e della limitazione del potere temporale del Papa. Il Papa rinnovò ancora la sua condanna delle tesi micheliste, come si diceva, con una Bolla del 16 novembre 1329. Francesco rispose con una “Improbatio”, o confutazione, meticolosa e agguerrita. Il 4 dicembre 1334 moriva Giovanni XXII e gli successe Benedetto XII che rinnovò la condanna nei confronti dei frati fedeli a Michele da Cesena. Francesco, che nel frattempo aveva trovato rifugio a Monaco di Baviera, vicino all’Imperatore, fu catturato dall’Inquisizione e sottoposto a processo a partire dal 6 febbraio 1341. Francesco si difese energicamente da ogni accusa. Il 1 dicembre 1343 alla presenza di Clemente VI, nuovo Papa, dei cardinali della Curia e del Ministro generale, ad Avignone, Francesco lesse la sua ritrattazione e fece la sua professione di fede: non perché rinunciasse all’ideale e alla professione di fedeltà al Vangelo, che credeva profondamente, ma perché voleva vivere comunque nella comunione della Chiesa e dell’Ordine e nella fede che questa professava e trasmetteva. Dopo il 1344 di Francesco si perdono le tracce e non si sa quando e dove sia morto. Dato che il P. Ilario Altobelli attesta che Sisto V fece trasferire nella Biblioteca Vaticana i libri di Francesco rimasti nel Convento S. Francesco di Appignano è da pensare che sia stato sepolto nella stessa Chiesa e da qui trasferito in quella di Sant’Angelo, quando i frati dovettero traslocare a causa della frana che mandò in rovina Chiesa e Convento antico (D. PRIORI-M. STIPA, Francesco d’Appignano Doctor succinctus [Quaderni Appignanesi, Anno I, n. 1 - Maggio 2005], Edizioni Centro Studi Francesco d’Appignano, Appignano del Tronto, 2005, 32).
Francesco rimane l’esempio di un uomo che non viveva la teoria della povertà come qualcosa di distaccato e legato semplicemente al pensiero e al ragionamento, ma entrò nell’agone delle vicende del suo tempo e seppe, mantenere la bussola dell’orientamento decisivo della sua vita: la comunione nella Chiesa e la partecipazione appassionata alle vicende del suo Ordine. Appignano non era Parigi, ma l’elucubrazione del Maestro non aveva perduto la passione del frate vissuto e cresciuto dentro le vicende di un povero Convento di un piccolo paese, non per caso, ma per scelta di vita.
Seguendo le colline del versante sinistro del fiume Tronto troviamo Offida, un’antica città longobarda tra il VI e il IX secolo, passata sotto il possesso dell’Abbazia di Farfa, che vi ha lasciato vari monumenti di particolare bellezza, quale soprattutto la chiesa di S. Maria della Rocca, che divenne sede di Monastero. Divenuta sede di regime comunale agli inizi del 1200, con il castello che ne conserva la gloria e la memoria, sperimentò le lotte tra Guelfi e Ghibellini. Città vivace, dunque, e fervida, dal punto di vista politico e religioso, ebbe la sorte di avere la presenza francescana fin dalla prima ora e di continuarla variegata nei secoli.
Il primo insediamento francescano di Offida, fuori delle mura cittadine si fa risalire ai primi anni del ‘200. Si parla di un certo Frate Giacomo da Offida in un documento del 1227, per l’Ospedale di Ricuscelli. Da questo luogo i Frati entrarono in città nel 1252.
Le sorelle Clarisse si unirono molto presto ai Frati Minori, e si stabilirono nella zona di Colle Garbino, a circa un chilometro e mezzo dal centro abitato. Si chiamava S. Martino e faceva parte del castello di Ripatransone, allora dipendente dalla Diocesi di Fermo. Ebbene, il titolare del beneficio, un certo Don Alberto, donò nel 1230 il luogo alle Damianite perché vi fondassero un loro Monastero. Le religiose iniziarono presto la costruzione del loro luogo di preghiera e di vita e nel 1236 la casa fu terminata. Un atto del Priore Tancredi di S. Maria di Offida del 4 novembre 1236, infatti, attesta che le sorelle erano esenti dai diritti di giurisdizione temporale e spirituale dell’Ordine benedettino, fino ad allora responsabile del bene in questione. Il documento attesta, inoltre, che la casa e la chiesa fossero dedicate al Padre S. Francesco.
Diverse Bolle dei Papi attestano la vivacità spirituale di questo Monastero. Gregorio IX con la Bolla del 28 ottobre 1239 confermava l’esenzione data dal priore Tancredi e in un’altra del dicembre dello stesso anno fissava a 20 il numero delle suore residenti in quel Monastero, segno di una crescita veloce e delle necessità di porre un argine all’abbondanza delle richieste di entrare a far parte di quella comunità eletta. Innocenzo IV con varie Bolle del 1246 manifestava particolare benevolenza verso le sorelle damianite e le affidava alla custodia dei Frati Minori. Ma, come sappiamo ogni luogo costruito fuori della città era sempre in pericolo di scorribande e disturbi di vario genere, per cui le sorelle fecero il progetto e la richiesta al vescovo di Fermo di poter entrare dentro la città e là nel 1246 edificarono il loro Monastero, demolendo un’antica Chiesa dedicata a Sant’Agnese e rinnovando la memoria e la dedica al Padre San Francesco, come il loro precedente monastero di Colle Garbino.
La vita di queste sorelle proseguì nobile e serena per tre secoli, fino a quando, agli inizi del 1500, abbandonata la regola di Urbano IV e adottata quella del Terz’Ordine, si persero in una tragica rilassatezza. Nel 1515 per mandato del Papa Leone X il Vescovo Roberto Tibaldeschi di Civita in Calabria e Vice Legato delle Marche, fu incaricato di fare un’accurata indagine sulla regolare vita religiosa delle Monache, data l’accoglienza di varie di esse da altri Monasteri senza accurata discrezione e la conduzione di una vita non regolare ed edificante. Date le varie situazioni riscontrate, il Monastero venne dato e affidato ai Frati Minori della regolare Osservanza.
Il Convento e la Chiesa di S. Marco, dentro le mura della città è il secondo insediamento dei Frati Minori nella città, iniziato, come dicevamo nel 1252. La Chiesa ha subito varie modifiche: venne ampliata nel 1359 e nel 1738 vi fu annessa la nuova cappella monastica. A causa della soppressione del Papa Innocenzo X, i Frati Minori Conventuali, rimasti in pochi dovettero abbandonare il Convento nel 1653. Il Convento e la Chiesa passarono nel 1655 alle Monache benedettine, che ancora vi abitano. Di particolare bellezza e maestosa nobiltà è il chiostro, a due ordini di arcate, con affreschi del trecento attribuiti al cosiddetto Maestro di Offida.
Il Convento di S. Francesco dei Frati Minori fu sede nei secoli di grandi figure di religiosi, esperti sia nel campo delle scienze filosofiche e teologiche, come pure illustri per santità di vita. Il Padre Antonio Talamonti nella sua Cronistoria dedica molte pagine a ricordare avvenimenti e personaggi che hanno reso celebre la comunità dei Frati del locale Convento S. Francesco. Purtroppo le due soppressioni ottocentesche, quella Napoleonica (1810) e quella dell’Unità d’Italia (1860-1865), ridussero la Chiesa e il Convento ad uso profano: i frati cercarono in ogni modo ma invano di poter rimanere in questo antico luogo di vita francescana della custodia ascolana. Gli avvenimenti accaduti in questo luogo parlano di una gloria remota e di un inesorabile, drastico, quanto inaspettato declino, che ha accompagnato e seguito questi improvvidi provvedimenti di allontanamento forzato. Oggi il Convento è sede della Enoteca regionale Vinea. (cfr. S. ANTONELLI-F. MARCELLI-C.M. SALADINI, Il San Francesco in Offida. Storia e restauro, Grottammare, 2007).
La presenza francescana in Offida è oggi assicurata dai Frati Minori Cappuccini, che custodiscono il loro Convento con la Chiesa, nella quale vengono venerate le reliquie del Beato Bernardo da Offida (Domenico Peroni, 1604-1694). Il Convento iniziato nel 1614 sul Colle di S. Pantaleone con il materiale della demolizione del Monastero di S. Bernardo collocato al centro della città. Di questo Convento parla il Padre Andrea Rosini da Offida, annalista della Provincia dei Cappuccini delle Marche, autore del Compendioso racconto “istorico” della Terra di Offida.
Da queste note, però si evidenzia come un luogo come quello di Offida ha generato una fioritura di testimonianza francescana di particolare e notevole spessore. Offida è una bella città, certo per i suoi monumenti civili e religiosi, certo per le sue tradizioni secoli, quali quella del merletto a tombolo, certo per i suoi bei vigneti di uva e il relativo vino piceno, ma soprattutto per aver generato uomini e donne di una grande fede, a partire dai primi santi frati, che resero la Provincia bella e luminosa come il cielo.
Il Beato Corrado da Offida, di cui diffusamente parla frate Angelo Clareno nella sua Cronaca delle sette tribolazioni, che raccolse diverse testimonianze sulla vita di San Francesco essendo stato confidente del Beato Egidio e di Frate Leone, intimi compagni del Santo fondatore, a cui Pietro di Giovanni Olivi, leader “spirituale” della Francia meridionale, indirizza una celebre lettera, il 14 settembre 1295, è uno dei protagonisti dei frati Spirituali e de I Fioretti.
L’Olivi si rivolge a frate Corrado da Offida con l’augurio “di moderare lo zelo con la discrezione dello Spirito in Cristo Gesù, che secondo retta e inenarrabile scienza modera tutte le cose”; e poi, lo identifica come persona di cui conosce “la santità e la solida discrezione” Frate Corrado e il Beato Pietro da Treia, suo intimo amico, rimasero comunque fedeli sia alla loro fraternità minoritica sia all’ideale abbracciato della povertà più autentica e rigorosa: testimoni della possibilità concreta di non tradire né la regola né la fraternità, né l’ideale né la realtà, né la
Chiesa spirituale né la Chiesa materiale e istituzionale.
Offida conserva tra i suoi tesori anche un altro uomo di Dio, il Beato Bernardo da Offida, Cappuccino, che riposa nel Santuario omonimo.
Domenico Peroni, così si chiamava il nostro al fonte battesimale, nacque il 7 novembre 1604 nella Frazione La Lama, di Offida, da due poveri contadini. L’infanzia, oltre che alla preghiera, la dedicò al lavoro dei campi e al pascolo delle pecore. Cresceva, però, nell’amore di Dio e nella devozione all’Eucaristia. Così, a 22 anni, portò a compimento il suo desiderio più grande: dedicarsi tutto al Signore, vivere per lui tutti i giorni della sua vita, dietro a quei frati di Offida che aveva conosciuti e frequentati fin dalla più tenera età. Entrò dapprima nel Noviziato di Corinaldo, dove ricevette il nome di Frate Bernardo, e quindi in quello di Camerino, dove il 15 febbraio 1627 emise la professione dei voti. Fu inviato dapprima nel Convento di Fermo, come cuoco e addetto ai frati infermi, poi in quello di Ascoli e, infine, in quello di Offida, dove fu amato e venerato per la sua semplicità e bontà, sia quando andava per le case a chiedere l’elemosina, sia quando accoglieva tutti, soprattutto i più poveri e bisognosi, in Convento, e a tutti donava, insieme al pane la Parola del Signore e la consolazione della preghiera. Sapeva amare i confratelli e la gente, il Beato Bernardo. Sapeva trasformare tutto in amore di Dio e in spirito di fede, di preghiera e di carità. È una delle tante, meravigliose figure di semplici ed umili frati francescani che hanno lasciato un’impronta indelebile nel cuore della gente, non tanto per la loro sapienza e dottrina, quanto per la loro bontà, semplicità, umiltà e fraternità. Erano uomini capaci di conquistare la fiducia incondizionata delle persone che incontravano, perché trasmettevano il senso della fede più bella e genuina, la carità più aperta e generosa, la forza dell’amore di Dio più incrollabile e sicura.
Morì a 90 anni Frate Bernardo e tutti lo piansero e lo venerarono come un santo: era il 22 agosto 1694. Fu proclamato Beato il 19 maggio 1795, dal Papa Pio VI. Oggi, ancora, il suo Santuario è una meta continua di devozione, di preghiera e di miracoli di consolazione e di speranza.
Offida custodisce due preziose reliquie francescane. Due santi vissuti in epoche diverse, ma accomunati dallo stesso ideale di vita francescana, dallo stesso spirito di amore a Dio e alla gente, dallo stesso esempio di dedizione incondizionata alla regola di vita lasciata dal Padre San Francesco. Offida, così, si pone tra i luoghi più significativi di una testimonianza secolare di vita evangelica e di carità operosa.
Da Monsampolo ci dirigiamo a Monteprandone, il luogo in cui è nato e ha vissuto la prima infanzia Domenico Gangala ovvero S. Giacomo della Marca (1393-1476), che, una volta divenuto Frate Minore e Vicario della sua Provincia, ha voluto proprio nella sua terra di origine realizzare la Chiesa ed il Convento di S. Maria delle Grazie.
San Giacomo della Marca è una di quelle figure così ricche e poliedriche, così profondamente immerso nel vivo delle vicende spirituali del suo Ordine e del suo tempo, così vicino alle esigenze della gente che lo studio della sua personalità, dei suoi scritti e dei suoi Sermoni, dei suoi gesti e delle sue iniziative, merita un’attenzione particolare.
Si prosegue con Acquaviva Picena, dove permangono i resti di un Convento e di una Chiesa, San Francesco, molto belli e importanti nella tradizione francescana locale.
Sebbene l’origine del Convento sia assai antica, si risale addirittura a S. Francesco stesso, nel 1215, la costruzione della chiesa, nel 1260, doveva essere a buon punto se papa Alessandro VI concedeva indulgenze a coloro che visitassero la chiesa nelle feste mariane e nella ricorrenza della sua dedicazione. Il Convento e la chiesa, minacciati di soppressione al tempo di Papa Innocenzo X, nel ‘600, a seguito di vari episodi prodigiosi fu riaperto nel 1714 Dopo l’unità d’Italia i beni del convento passarono alla Cassa Ecclesiastica che li vendette a privati. Nel 1989 la chiesa di San Francesco veniva completamente restaurata e restituita al culto. A promuovere il risorgere della chiesa molto si operò padre Francesco Angellotti, originario di Acquaviva, studioso di storia e d’arte ed autore della prima organica guida di Acquaviva, scomparso nel 1987. La Chiesa è con semplice facciata a capanna. L’abside è quadrata. Il campaniletto a vela ha una bifora con due campane. Il chiostro quadrato, che si apre nel convento, presenta tre possenti arcate su ciascun lato ed ha al centro un pozzo. L’interno è a navata unica con due altari laterali dedicati rispettivamente a San Francesco e a Sant’Antonio di Padova (cfr. G. PARISCIANI, Il Convento di San Francesco ad Acquaviva Picena, Ancona, 1991).
A San Benedetto del Tronto la presenza francescana è recente, data la costruzione della Parrocchia S. Antonio, a partire dagli anni ‘40 del ‘900, e del Monastero delle Clarisse S. Speranza, ancora più recente: la piccola realtà marinara del paese fino agli inizi del ‘900 e la presenza dell’Abbazia cistercense di S. Benedetto martire, che caratterizzava la realtà religiosa nei secoli del “paese alto”, ha reso difficile una presenza storica francescana antica. La Parrocchia S. Antonio, dei Frati Minori Conventuali risale al 1939.
La città di Grottammare, invece, vanta una presenza francescana più antica, infatti nel 1614-15 fu edificato il Convento di S. Maria dei Monti, nella zona del “paese alto”, in posizione assai panoramica incantevole, con un bosco circostante di elci e pini che attualmente lo abbellisce. Oltre l’affresco di S. Maria dei Monti, che sovrasta l’altare maggiore ed il coro, la chiesa è munita di altre opere d’arte, antiche e moderne (cfr. A. D’ARQUATA, Cronaca della Riformata Provincia de’ Minori nella Marca, Cingoli, 1893, 153-156). A Grottammare è nato Felice Piergentile, poi, Pieretti (1521-1590), ossia Papa Sisto V (1585-1590), Frate Minore conventuale, uomo di studio e di governo, che ha caratterizzato, sebbene in pochi anni, un tempo ed un pontificato.
L’itinerario prosegue per Ripatransone dove la presenza francescana risale ai primi tempi dell’Ordine, infatti vi fu costruito un convento fin dal 1247, col nome di S. Maria in valle, poi S. Maria Magna, la cui chiesa fu consacrata ufficialmente nel 1348. Restaurato negli anni 1774-1777, cadde sotto le soppressioni ottocentesche e divenne ospedale (cfr. G. PARISCIANI, I Frati Minori Conventuali delle Marche (sec. XIII-XX), Ancona, 1982, 322).
Un altro Convento francescano è quello di S. Maria Maddalena, iniziato nel sec. XV, e costruito per i frati a partire dal 1495. Alle origini comprendeva un oratorio ed un ospedale, dipendenti da S. Giovanni in Laterano, poi fu realizzata la costruzione del Convento per i frati francescani, nei primi anni del ‘500. Vissero in questo Convento di ritiro molti religiosi santi, tra cui i venerabili servi di Dio Padre Giacomo Boldrini dalle Piane di Matelica (1726-1757) e Padre Simone Filippovich da Seona in Bosnia (1732-1802).
Anche questo Convento cadde sotto le disgrazie delle soppressioni ottocentesche e, poi, fu ceduto dopo il 1911 al Comune e a privati. Finalmente, nel 1928 fu venduto alle Monache passioniste che vi si stabilirono e vi ripristinarono la vita religiosa ed il culto della chiesa (cfr. A. TALAMONTI, Cronistoria dei Frati Minori della Provincia lauretana delle Marche, Vol 5, Sassoferrato, 1961, 176-238).
Infine, un altro Convento francescano è presente a Ripatransone, quello dei Frati Minori Cappuccini, i quali abitarono dapprima nel 1574 nella chiesa di Santa Maria della Misericordia, detta, poi, del Carmine, a circa due chilometri dalla città, sulla via cuprense. Essendo il luogo troppo frequentato dai pellegrini, i frati ottennero la costruzione di un nuovo Convento e chiesa sul Monte Attone. La prima pietra fu posta nel 1575 e la chiesa fu consacrata dal Vescovo Mons. Pompeo De Nobili, il 22 giugno 1579. I frati furono allontanati nel 1810, la Chiesa e parte del Convento furono abbattuti per la costruzione del Cimitero. I frati vi ritornarono nel 1817 e furono di nuovo espulsi nel 1862. Ritornano nel 1880, come custodi del cimitero, lo abbandonano nel 1905 vi ritornano nel 1926. Oggi la Chiesa ed il Convento sono privi della presenza religiosa dei frati. A Ripatransone vi era anche un antico Monastero di Monache Clarisse, detto di San Francesco, del secolo XIII, che il Papa Innocenzo IV sottopose all’obbedienza del Ministro generale e provinciale. Nel 1521 si tentò di riformarlo con l’innesto di un gruppo di monache del Terz’Ordine e successivamente con un gruppo di Monache da Fermo. Fu distrutto per munire la città durante la guerra tra il papa e la Spagna e le monache traslate nell’ospedale di S. Maria Maddalena, detto poi Monastero di S. Chiara, sotto la cura dei Frati Minori Osservanti. Fu soppresso nel 1808 (cfr. G. PARISCIANI, S. Chiara e le Marche, Urbino, 1995, 104-105).
Lasciando Ripatransone ci dirigiamo a Montalto Marche, insieme sedi dell’antica Diocesi. Montalto ebbe un Convento molto antico di San Francesco, probabilmente iniziato nel 1215, a ricordo del passaggio di San Francesco nel suo viaggio verso Ascoli Piceno: si trova a poche centinaia di metri dalla città sulla via verso Montedinove. La Chiesa fu restaurata nel 1336 e nel 1459 e l’unita cappella del Beata Vergine Maria fu eretta nel 1587. il Papa Sisto V, ossia Padre Felice Pieretti, fu accolto e formato in questo Convento. Soppresso nel 1810 fu riaperto nel 1824 e perdute nel 1861. Riacquistato nel 1872 fu venduto ad un privato nel 1834 (cfr. G. PARISCIANI, I Frati Minori Conventuali delle Marche (sec. XIII-XX), Ancona, 1982, 313). Di notevole interesse è la Croce dipinta trecentesca proveniente da questo antico luogo francescano, ora depositata nel Museo Diocesano della stessa città. A Montalto la presenza francescana è arricchita dal Monastero delle Clarisse fatto erigere dal Papa Sisto V nella sua città di adozione. L’inizio della vita monastica ufficiale si ebbe il 28 settembre 1638, con delle sorelle venute dal Monastero S.Tommaso di Potenza Picena. Superate le due soppressioni ottocentesche il Monastero è ancora in vita e ricorda una storia lunga di fede e di devozione, di amore e di fedeltà alle origini e allo sviluppo del francescanesimo in queste zone della regione (cfr. G. PARISCIANI, S. Chiara e le Marche, Urbino, 1995, 87).
Da Montalto si prosegue per Montedinove, dove accoglie la Chiesa ed il Convento S. Tommaso Becket. Nel 1619 fu posta la prima pietra di una nuova Chiesa e del Convento, là dove sorgeva una cappella dedicata al Canto Martire Tommaso di Canterbury, proprietà del Monastero S. Maria in Cellis, dipendente dall’Abbazia di Farfa. Vi giunsero i Frati Minori riformati nel 1629. La Chiesa fu consacrata il 3 giugno 1646 ed il Convento fu ultimato nel 1643, Soppresso nel 1810 i frati ritornarono nel 1821. Allontanati di nuovo nel 1866, nel 1909 fu ripreso dai Frati Minori Conventuali che abitavano nel vicino Convento di Montalto. È ancora oggi un luogo di riferimento per la vita spirituale e pastorale del luogo.
Il viaggio, a chiusura dell’itinerario dietro le orme di San Francesco e di San Giacomo della Marca, si conclude a Comunanza o ad Amandola.
Da Amandola, per riprendere, poi, la via che porta verso Assisi, potendo visitare i luoghi che sono stati descritti nell’itinerario ascolano. Questi luoghi ci ricordano che il francescanesimo non è finito con San Francesco, ma nei secoli ha sviluppato in rigogliose propaggini di vitalità, di santità, di figure assai significative, di presenze meravigliose e provvidenziali, che hanno segnato la storia di tanti paesi e città, che hanno lasciato un’impronta nella popolazione, nella cultura, nella fede e nella devozione del popolo marchigiano.