1° itinerario

MATELICA

Itinerario principale

(Matelica) Monte S. Vicino, Grotta di San Francesco (Matelica) Monte S. Vicino, Grotta di San Francesco
Matelica (MC), Chiesa e Convento San Francesco, XIII sec. Matelica (MC), Chiesa e Convento San Francesco, XIII sec.

Passando per Gagliole, si raggiunge l’antica città romana di Matelica. Matelica, antico sito piceno, municipio romano, sede episcopale, governata dai Conti Ottoni fino alla fine del ‘500, passata poi sotto il dominio della S. Sede, unita come Diocesi a Fabriano nel 1785, è stato uno dei luoghi più ricchi di presenza francescana fin dalle origini. Occorre, infatti, risalire ai primordi dell’Ordine per ritrovare le tracce della presenza e dell’attività dei francescani, sia dei Frati Minori, sia delle Clarisse, sia dei laici, uomini e donne di penitenza e di vita comune.

Nel 1256, come si rileva da una pergamena conservata nel Monastero S. Maria Maddalena delle Clarisse di Matelica, alcune pie donne, che in quell’anno si riunirono insieme alle Clarisse nel Monastero cittadino, precedentemente “dimoravano apud ecclesia sancti Francisci seu Claudi de Acquaviva, una volta luogo dei Frati Minori, nel distretto di Matelica” (cfr. C. MARIOTTI, L’Ordine francescano in Matelica, Matelica, 1909, 10).

Queste pie donne, secondo il testo della pergamena, vivevano insieme ad altre 5 persone, uomini e donne, indicati come “familiari” ossia oblati (il testo della pergamena è stato pubblicato dal Padre G. PAGNANI, nell’articolo Luoghi francescani delle Marche di origine benedettina, in Aspetti e problemi del monachesimo nelle Marche. Atti del Convegno di studi tenuto a Fabriano Monastero S. Silvestro Abate 4-7 giugno 1981 (Biblioteca Montisfani 6), Fabriano, 1982, 167-168).

Questi uomini e donne che vivevano insieme sono dei laici consacrati che “vivono senza regola o legame di obbedienza”, decidono di porsi sotto una regola ufficiale di vita, tanto più che questa regola era stata soltanto tre anni prima, nel 1253, approvata e confermata dal Signor Papa, proprio alla vigilia della morte di S. Chiara.

Assai probabilmente, annota il P. Pagnani, si tratta di frati e donne penitenti, ossia di laici che più tardi si chiameranno terziari francescani, che pur vivendo in famiglia o in piccole comunità, facevano a loro volta una scelta di vita ispirata all’ideale francescano. Non si spiega altrimenti come continuassero a chiamare il luogo S. Francesco” (G. PAGNANI, Luoghi francescani delle Marche di origine benedettina, in Aspetti e problemi del monachesimo nelle Marche. Atti del Convegno di studi tenuto a Fabriano Monastero S. Silvestro Abate 4-7 giugno 1981 (Biblioteca Montisfani 6), Fabriano, 1982, 135-179, 168).

Dunque, alle pendici del Monte S. Vicino abbiamo già nei primi decenni della vita francescana una serie di comunità che ci testimoniano della presenza dei tre Ordini di vita al seguito del Poverello.

È evidente che, se nel 1256 le pie donne lasciarono il luogo che una volta era stato dei Frati Minori, si può facilmente arguire che la loro presenza in questa sede risalga ai primi tempi della fondazione dell’Ordine.

L’eremo di S. Francesco di Acquaviva, viene ancora oggi identificato con S. Claudio di Acquaviva, nella zona vicino all’attuale borgo di Braccano, alle pendici del Monte S. Vicino che volge verso Matelica, assai vicino ad un altro luogo che poi, una cinquantina d’anni dopo il 1256, fu abitato dai frati francescani Clareni, ossia S. Giovanni di Foro, oggi meglio conosciuto come S. Giovannino de Fora.

Questo versante della valle dell’Esino alle pendici del Monte S. Vicino è, in effetti, un sito di insediamenti monastico-religiosi di notevole importanza nella storia e nello sviluppo della vita religiosa non solo della città di Matelica, ma particolarmente del mondo benedettino e francescano della regione, al punto tale che il grande storico francescano P. Giacinto Pagnani l’ha definito “una vera tebaide nel cuore delle Marche” (Luoghi francescani delle Marche di origine benedettina, 162).

Più in alto dei due siti francescani delle origini si trova, infatti, la famosa abbazia di S. Maria de Rotis, oggi purtroppo in rovina e quasi completamente diroccata. Questa abbazia, evidentemente presiedeva a tutti questi luoghi di vita religiosa della zona, insieme agli altri tre Monasteri che circondano il Monte S. Vicino: S. Salvatore di Val di Castro, SS. Trinità e S. Maria di Valfocina. Aveva avuto origine nel secolo VIII, ebbe un notevole sviluppo a partire dal XII secolo. All’inizio del XIII secolo ci sono 8 monaci, compreso l’abate, un prevosto, un priore ed un converso (cfr. A. ANTONELLI S. Maria de Rotis, in C. CASTAGNARI ed., Abbazie e castelli della Comunità montana alta valle dell’Esino, 1990, 389-391). Le vecchie abbazie benedettine furono i primi luoghi di riferimento di S. Francesco e dei suoi figli spirituali: i monaci diedero ben volentieri ai nuovi frati mendicanti molti dei luoghi di vita spirituale che altrimenti avrebbero subito abbandono e declino.

Così, dopo l’eremo di S. Claudio di Acquaviva, i frati francescani continuarono ad occupare altri luoghi in questo versante del Monte S. Vicino.

S. Giovanni de Fora ovvero di Fuori, per distinguerlo ovviamente da un S. Giovanni dentro le mura cittadine (come ci riferisce Don Amedeo Bricchi, nel suo studio su Matelica e la sua Diocesi, pag. 178, nota 10), fu abitato dai frati Clareni “ortodossi” o della “Povera Vita”, approvati dalla Chiesa e integrati nel grande ordine francescano. Nel 1500, al tempo del Papa Pio V si unirono al ramo dei Frati Minori Osservanti, che continuarono ad abitare nel Conventino di campagna, uniti a quello di S. Francesco della città, fino al 1810 prima e poi fino al 1861, quando dovettero subire dapprima la soppressione napoleonica e successivamente quella italiana (cfr. A. SANCRICCA, La definitiva incorporazione dei fratres di Angelo Clareno nell’Osservanza cismontana con riferimento allo stato dei Conventi della Marca, 259; 293-294).

Il Conventino è ancora in parte visibile, grazie al fatto che rimane la chiesetta e il chiostro, con varie lunette affrescate, con episodi della vita di S. Giacomo della Marca. Certo, essendo adibito a civile abitazione, ha perso ormai la sua originaria destinazione d’uso, ma, volesse Iddio che, non cada in rovina essendo testimone di una antica, gloriosa, umile e discreta presenza di frati che hanno cercato e trovato il tesoro della gioia e della pace nella preghiera e nel silenzio.

S. Giacomo di Braccano, si trova più vicino degli altri al castello di Braccano, fu abitato dai frati Clareni, poi Osservanti. Nel 1454 vi si ritirò per condurre vita regolare francescana uno dei rampolli della nobile e potente famiglia matelicese degli Ottoni, Federico di Francesco, vi dettò il suo testamento e vi chiuse i suoi giorni. Nel 1525 vi dimorava Frate Francesco da Cartoceto, che accolse nell’eremo Frate Matteo da Bascio, iniziatore e promotore del nuovo Ordine dei frati Cappuccini. L’eremo passò di fatto ai Cappuccini, i quali vi risedettero fino al 1578, quando si trasferirono più vicini alla città, nel Convento nelle adiacenze alla Stazione ferroviaria. Oggi, purtroppo, il luogo, da tempo trasformato in casa colonica, è quasi completamente distrutto.

Matelica (MC), Monastero S. Maria Maddalena, Annunciazione. Matelica (MC), Monastero S. Maria Maddalena, Annunciazione.
Matelica (MC), Monastero S. Maria Maddalena, Beata Mattia. Matelica (MC), Monastero S. Maria Maddalena, Beata Mattia.

Anticamente esisteva, in questa zona così ricca di vestigia sacre, anche un terzo convento di frati di origine francescana, quello di S. Lorenzo di Afrana, nella zona di Campamante di fuori, dove i frati francescani erano dapprima sotto la regola del III Ordine di obbedienza vescovile, poi sotto la regole del I Ordine di obbedienza vicariale, e vi rimasero almeno fino al 1568 (cfr. A. SANCRICCA, La definitiva incorporazione dei fratres di Angelo Clareno nell’Osservanza cismontana con riferimento allo stato dei Conventi della Marca, 259; 294-295). Fu abitato nel ‘300 dai Fraticelli, un gruppo di frati che pur facendo riferimento alla Regola e allo stile di vita francescana, si erano però a poco a poco e in varie maniere resi autonomi e facinorosi, a causa dei loro eccessi in contestazione e provocazione della Chiesa e dei suoi esponenti ecclesiastici e religiosi. Erano chiamati dalla gente i frati “cattivi”, e, nonostante il tentativo del Vescovo di Camerino di sottometterli ad una regola comune di vita, subirono le censure e le repressioni della Chiesa ufficiale, che doveva preservare l’ambiente di vita cristiana immune da pericoli e da confusioni di vario genere, causato dalla insubordinazione e ostinazione di tali frati a non voler sottostare alle ordinate e regolari forme di vita religiosa.

Ma, più in alto ancora, si trova la famosa Grotta di S. Francesco al Monte S. Vicino, di cui abbiamo parlato quando abbiamo trattato nella nostra rivista dei luoghi francescani nel territorio di S. Severino Marche, nel precedente itinerario della Terra dei Fioretti. Questa grotta, vicina ad altre dette popolarmente “dei frati”, aveva anticamente a che fare con un insediamento umano-religioso, probabilmente dipendente da una delle antiche abbazie benedettine, i frati l’abitarono nel corso del ‘300 e l’abbandonarono sicuramente nel 1434. Il Capitolo 42 del libro de “I Fioretti” parla del Beato Bentivoglio da S. Severino, che assistendo un lebbroso nel Convento di Pontelatrave, nel versante del fiume Chienti sotto Camerino, fu mandato dal Provinciale di Convento in quello del S. Vicino, e per non lasciare solo il povero lebbroso, se lo caricò sulle spalle e se lo portò con sé nel nuovo luogo di destinazione, e percorse tutta la strada quasi volando, anzi “se egli fosse stato aquila non avrebbe potuto in così poco tempo volare” e riempire tutto il percorso. Quale di questi luoghi del Monte S. Vicino sia stato esattamente quello a cui il Beato Bentivoglio dovette andare a vivere poveramente e caritatevolmente, non è dato con certezza storica assoluta sapere, ma è certo che in queste pareti di montagna, quell’aquila trovò davvero il suo nido, il suo luogo naturale di vita spirituale, di preghiera e di santità. Ancora oggi si possono ripercorrere delle valli attraversate da ruscelli e fiumi di acqua fresca e pura, pianori aperti al sole che illumina di colore e di vita la natura circostante, sentieri ghiaiosi e plurisecolari non alterati dal tempo e dalla modernità: un paesaggio incantevole, un luogo per ritrovare e risentire lontane voci di canto e di preghiera, cammini di frati innamorati di Dio che anche di recente passeggiavano in queste praterie della bellezza e della freschezza di primavera. Sta di fatto che questa zona del Monte S. Vicino, ha avuto questa grande fioritura di luoghi francescani, che hanno dato origine, poi, a quelli più ufficiali della città, sui quali ci fermeremo più avanti.

Dalle pendici del monte S. Vicino, i francescani si trasferirono in città, fenomeno conosciuto di inurbamento, di avvicinamento alla gente e alla vita della gente.

I frati che abitavano il conventino o meglio l’eremo di S. Francesco di Acquaviva, probabilmente negli anni ’30-‘40 del ‘200, come facevano anche altrove, lasciarono, almeno in parte, i luoghi antichi, per trasferirsi accanto a quella gente che volevano profondamente evangelizzare, curare spiritualmente e edificare con il loro stile di vita povero e fraterno. Scendendo in città, i frati si collocarono sul versante che dava direttamente verso gli antichi insediamenti, come per una specie di legame storico e spirituale, anche perché gli stessi monaci dell’abbazia di Roti, verosimilmente donarono ad essi quella prima dimora dentro le mura della città, come testimonia una tabella scolpita e collocata accanto alla porta di ingresso alla Chiesa, con l’immagine di un sacerdote o abate, con la dicitura S[ignum] Domini Lapi, ossia l’abate di quel monastero che dal legame con i “nuovi” frati nella collina adiacente al loro antico ambiente di vita, continuarono a tenersi legati all’evoluzione e allo sviluppo del nuovo Ordine.

Una testimonianza dello storico Giovanni Battista Razzanti ci dice di aver trovato una dissertazione nella quale si trova “che esso Convento fosse fondato dentro Matelica in tempo del Padre Pietro [da Vercelli]…che fu eletto Provinciale della Marca nel 1234” (in A. BRICCHI, Matelica e la sua Diocesi, Matelica, 1986, 180).

Appena dentro le mura, i frati costruirono la chiesa e il conventino, che ampliarono a poco a poco, secondo le esigenze di coloro che frequentavano e necessitavano il loro luogo di preghiera e di vita. I frati che avevano scelto di scendere in città e di stare più vicini alla gente erano chiamati della Comunità e successivamente Conventuali. La loro chiesa divenne un punto di riferimento per gli abitanti di Matelica, era la più frequentata, il luogo di sepoltura di tante persone ad essa legate e di cappelle assegnate alle famiglie più notabili della città, in essa “si rogavano atti notarili e si tenevano le adunanze delle corporazioni” (L. BARTOLINI SALIMBENI, Le strutture architettoniche degli insediamenti francescani, in L. BARTOLACCI – R. LAMBERTINI Presenze francescane nel camerinese, secoli XIII- XVII), Ripatransone, 2008, 380).

Fu resa sempre più bella, fino a diventare una vera e propria Pinacoteca, uno scrigno di opere d’arte di eccezionale valore. Abbiamo preziose testimonianze dell’arte, ancora oggi totalmente o in parte visibili e tangibili. Della chiesa duecentesca primitiva rimane il portale romanico in marmo di Verona; del ‘300, nelle pareti dell’abside, per la maggior parte nascosto sotto l’intonaco, si conserva un ciclo di affreschi del grande artista fabrianese Allegretto Nuzi (ca 1320- 1373), di cui emerge attualmente solo un intenso e raccolto volto di S. Francesco, che dona il mantello al povero e il sogno di Innocenzo III, definito “il più antico ciclo agiografico francescano affrescato noto nelle Marche” (M. PARAVENTI, Arte e committenza francescana nel territorio tra XVI e prima metà del XVII secolo, in L. BARTOLACCI – R. LAMBERTINI, Presenze francescane nel camerinese secoli XIII-XVII, Ripatransone, 2008, 305) è da immaginare, quindi, la bellezza di tutta la chiesa gotica trecentesca, interamente affrescata, come tante altre chiese contemporanee locali, dello steso stile e dello stesso ordine.

Del ‘400 abbiamo, nella cappella degli Ottoni, un trittico oggi attribuito alle prime opere dell’artista matelicese Luca di Paolo (1440 circa-1491), rappresentante, al centro, la Vergine col Bambino, al suo lato sinistro S. Bernardino da Siena, predicatore a Matelica il 12 settembre 1438 e, al lato destro, S. Francesco. Quest’opera era probabilmente legata ad una grande pala vista dallo storico Sennen Bigiaretti all’inizio del ‘900 (cfr. per molte notizie A. BUFALI Committenze artistiche di francescani e agostiniani a Matelica nel rinascimento, in Gli ordini mendicanti (secc. XIII-XVI) (Studi maceratesi 43), Macerata, 2009, 692).

Nella stessa cappella si trovava uno dei capolavori del grande artista Carlo Crivelli (Venezia 1430/35-Ascoli Piceno 1494/95), ossia la famosa Madonna della Rondine, tra i Santi Girolamo e Michele, realizzata tra il 1491 e il 1494, su commissione dell’ammirabile frate Giorgio di Giacomo da Matelica, guardiano per 50 anni del convento matelicese e committente delle varie opere d’arte della chiesa: l’opera del Crivelli fu venduta, purtroppo, nel 1862 da un tale Luigi De Santis, che se ne riteneva autorizzato e proprietario, alla National Gallery di Londra, in cui si conserva ancora oggi.

Del ‘500 sono la maggior parte delle opere. Dell’inizio del ‘500 abbiamo una tavola, originariamente fatta per l’altare maggiore, di Marco Palmezzano (+ 1539), discepolo di Melozzo da Forlì (si firma, infatti con Marchus de Melotius forolivensis faciebat al tempo de frate Zorzo guardianus del 1502) che rappresenta la Madonna in trono con Bambino, con ai fianchi S. Francesco e S. Caterina d’Alessandria, con vari santi nei pilastrini laterali e nella base, con la lunetta superiore rappresentante la Pietà, la Maddalena, S. Giovanni e S. Ludovico di Tolosa.

Del ‘500 sono pure alcune opere del pittore di Arcevia Ercole Ramazzani (1530- 1598): sono da ricordare due tele, una dell’Immacolata Concezione della Vergine, del 1573, nel contesto della Genesi, con Adamo ed Eva, e l’altra, del 1574, dell’Ascensione del Signore, con la Madonna e gli apostoli. Questa viene additata come punto di riferimento allorquando il Figlio è salito al cielo: furono commissionate da donna Nicola, vedova del nobile Paolo Baglioni da Gualdo, che aveva decorato la Cappella. Del Ramazzani, abbiamo anche una tela, del 1568, tra le più conosciute dell’artista arceviese, per l’altare del suffragio, opera commissionata da Cesàrea Varano, moglie vedova di Anton Maria Ottoni, illustre famiglia di Matelica: si tratta della Liberazione delle anime dal purgatorio, con i santi Gregorio Magno, Papa, il suo Diacono S. Pietro, San Francesco d’Assisi e S. Margherita da Cortona, più comunemente individuata come S. Camilla Battista da Varano, prozia di Cesàrea, con tratti molto diversi dall’iconografia tradizionale.

Del pittore perugino Eusebio da S. Giorgio (1465-1540), si firma Eusebius de schola Georgio Perusinus, discepolo del Perugino e compagno di Raffaello, è presente fin dal 1512 un’altra tavola, commissionata da Dionisio Periberti, raffigurante la Vergine con Bambino, con ai lati S. Giovanni Evangelista e S. Antonio di Padova a sinistra e con S. Andrea Apostolo e S. Nicola da Tolentino, a destra. Due altre grandi pale di altare sono opera dei grandi maestri e pittori di Caldarola, Simone e Giovanni Francesco De Magistris, l’Adorazione dei Magi (1566) e il Martirio di S. Stefano del 1569: ovvero il titolo delle due opere deve essere specificato meglio.

Di un altro artista originario di Caldarola è La Crocifissione (1569), ossia di Durante Nobili (1508-1578), con la predella dei De Magistris, con tre scene che ne completano il quadro, ossia la Deposizione al centro, la Discesa agli inferi a destra e la Risurrezione a sinistra. Infine, a destra e sinistra della predella si trovano i Santi Crispino e Crispiniano, patroni dei calzolai, dato che il munifico benefattore fu Pier Simone dell’Arpa da Fabriano, calzolaio, appunto. Questa pala della Crocifissione, secondo il Bigiaretti, seguito oggi da alcuni storici e critici, fu una sostituzione di quella di Simone De Magistris, poi trasportata a Esanatoglia.

In un’altra Cappella si trova, invece, la grandiosa tela della Vergine con Bambino e S. Giovanni Battista, S. Pietro, S. Paolo, S. Giuseppe e S. Diego, attribuita al pesarese Simone Cantarini (1612-1648). Dello stesso periodo, o giù di lì, è il quadro delle Stimmate di S. Francesco, di Lodovico Cardi, detto Il Cìgoli (1559-1613) e il Gonfalone della SS. Trinità (1634), dell’omonima confraternita.

Una chiesa, dunque, tra le più ricche del grande patrimonio francescano della Regione: tre secoli di particolare bellezza, con committenza da parte dei Conventuali, prima, e degli Osservanti, poi. Nel 1518, l’anno successivo alla divisione uffi iale tra i due rami dell’Ordine francescano, il Convento passò, non senza tensioni e problemi, data la sua importanza storica e la sua ricchezza di beni artistici e di tradizioni spirituali, alla famiglia degli Osservanti, che avevano già rianimato il luogo antico di S. Giovannino de Fora, e che ora si proponevano, sulla scia di S. Bernardino da Siena e S. Giacomo della Marca, di rievangelizzare l’Italia e l’Europa, cadute sotto una crisi di fede e di morale di immensa vastità e proporzione, con il sopraggiungere anche della divisione protestante.

S. Giacomo della Marca venne qui a Matelica nel 1444 e la sua predicazione fu particolarmente intensa e incisiva: colpì un male terribile, come quello della pedofilia. Un tale che lo ascoltava e che era colpito direttamente al cuore da quelle parole, decise di ucciderlo all’indomani in occasione del suo passaggio sulla strada verso Gagliole. Ma, nascosto dietro un’edicola della Madonna, la sua mano si paralizzò, proprio nel momento in cui stava per sferrare il suo colpo mortale. Dovette, poi, andare a Fermo, per implorare il perdono e la grazia di Dio, da parte del grande apostolo francescano marchigiano.

L’edicola è stata inglobata nell’attuale cimitero, e l’affresco della Madonna, staccato, è stato collocato nella Cappella del Cimitero, mentre nella vicina fonte recentemente restaurata, è stata fatta una copia in mosaico per ravvivare il ricordo del fatto prodigioso.

Il Convento S. Francesco, così glorioso e così monumentale, in cui si conservano anche un Oratorio della passione dei pittori di Caldarola De Magistris e Nobili del 1569 e un ciclo di lunette del chiostro del pittore Francesco Rossi da Orciano del 1690, assai mal ridotti per l’umidità, ha subìto, purtroppo, i danni del tempo e dell’abbandono; la chiesa necessità di lavori di restauro e di salvaguardia, data la sua particolare e singolare bellezza; entrambi, con le due soppressioni ottocentesche perdettero l’opera del Crivelli, ma sono ancora rimasti come una preziosa reliquia di una grande storia, bisognosi di essere rivitalizzati certo, ma nello stesso tempo sono ancora custodi di un immenso amore che ha attraversato i secoli.

La ricchezza delle presenze francescane in questa città è attestata e confermata dalle grandi figure di santi che sono usciti da questa terra, in modo particolare, alla fine del ‘200 e agli inizi del ‘300: il Beato Gentile e la Beata Mattia, appunto, da Matelica. Il Beato Gentile nacque attorno 1230 dalla nobile famiglia Finaguerra, che aveva la sua casa accanto alla Chiesa e al Convento S. Francesco. Inviato al Santuario della Verna, dove S. Francesco aveva ricevuto le S. Stimmate, ne fu Guardiano per vari anni dando un esempio di vita di preghiera e di santità davvero ammirevole. Desideroso di portare il Vangelo nella regione della Persia, partì per quelle terre. Avendo cercato di apprendere la lingua araba, giunse in Persia, e proseguì per la Crimea e l’Armenia. Fu preso dai maomettani e ucciso il 5 settembre 1340: i suoi resti mortali furono portati a Venezia e sono venerati nella Chiesa dei Frati, mentre un osso del braccio è stato portato a Matelica, nella Chiesa S. Francesco, nel 1625.

La Beata Mattia de’ Nazzarei a cui la sua città è profondamente legata, nacque nella prima metà del ‘200, da una famiglia ricca e nobile. Nonostante le resistenze del suo padre Guarniero, Mattia volle consacrarsi al Signore. Entrata in Monastero, emise la professione nel 1271 e ne divenne presto abbadessa, conservando questo ufficio fino alla morte avvenuta il 28 dicembre 1320. Pochi giorni dopo la morte il popolo di Matelica la volle onorare, ponendola nella stessa chiesa, accanto all’altare maggiore. Nel 1765 il Papa Clemente XIII ne confermò solennemente il culto.

Il fenomeno di ricchezza e di diffusione del francescanesimo in questa città, comprende in maniera particolare il Monastero delle Clarisse di S. Maria Maddalena ed il Convento dei Frati Cappuccini.

Per quanto riguarda il Monastero delle Clarisse, difficile è ricostruire con dati storicamente certi la sua origine. Sappiamo che le Clarisse abitavano originariamente il Monastero di S. Maria degli Angeli, adiacente al Palazzo degli Ottoni. Nel 1230 il Vescovo di Camerino emise una Bolla, con cui concedeva un’indulgenza a quei fedeli che avessero contribuito con le loro offerte alla costruzione del Monastero. Nel 1268 era stato costruito il Monastero di S. Agata vicino a quello di S. Maria Maddalena. Essendo le monache poche e povere fu deciso di unirle a quello più grande e significativo di S. Maria Maddalena; l’unione avvenne nel 1286 (cfr. A. BRICCHI, Matelica e la sua Diocesi, Matelica, 1986, 28).

Nel 1520 le figlie di S. Chiara di S. Maria degli Angeli furono trasferite in quello di S. Maria Maddalena, che era stato Monastero benedettino. Nel 1755 fu ammodernata la Chiesa, nelle fattezze attuali. Molte le opere d’arte presenti nel Monastero: tra cui una croce dipinta del XII secolo, una pala della Madonna col Bambino nella culla ed un’altra della Madonna col Bambino nella culla del XV secolo.

Per quanto si riferisce ai Cappuccini, la storia della loro presenza a Matelica risale ai primissimi anni della loro storia. Infatti, dapprima, grazie al P. Francesco da Cartoceto, a cui si unì il Padre Matteo da Bascio, essi trovarono il primitivo asilo nell’Eremo di S. Giacomo di Braccano (1525): i frati lo abbandonarono nel 1550. Richiesti della loro presenza in città, nel 1578 si iniziò la costruzione di un vero e proprio Convento, nella collina retrostante alla odierna stazione ferroviaria, località denominata allora proprio il colle dei Cappuccini. La Chiesa fu dedicata alla SS. Trinità. I frati vi rimasero fino al 1866, quando forzatamente lo dovettero lasciare. Il Convento venne giuridicamente chiuso nel 1874. Divenne col tempo casa colonica e la chiesa fienile. Ancora oggi, però, rimangono il chiostro e le arcate d’ingresso con strutture di chiara derivazione conventuale (cfr. R. LUPI, I Cappuccini della Marca. Fonti documentali, 1, Ancona, 2007, 1086-1087). Nella chiesa si conservavano varie opere d’arte (un elenco lo si può trovare in M. PARRINI (ed.), Matelica segreta e scomparsa, Matelica, 2007, 76-78).

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram