L’itinerario prosegue per S. Severino Marche, città ricca di storia, arte e cultura come poche altre, profusa nelle sue chiese (dal romanico al barocco), nella sua piazza di forma ellittica, nella fornitissima Pinacoteca, nei palazzi, nelle tante torri. Distesa nella valle del Potenza (risalendo la quale Francesco poteva far ritorno in Umbria per la via di Pioraco e Nocera), la domina dall’alto del suo colle il pittoresco nucleo medievale con il Castello. A S. Severino incontriamo diverse figure legate alla vita di S. Francesco e alla storia francescana. Il primo di questi è frate Pacifico, ovvero Guglielmo da Lisciano di Ascoli Piceno, che era stato il famoso “Re dei versi”, incoronato dall’imperatore Federico II, e che poi, fattosi Frate Minore, per il padre S. Francesco musicò il Cantico delle creature o di frate Sole. Di lui si parla in più parti nelle Fonti Francescane, Compilazione di Assisi; FF 1615. “Lo spirito di Francesco era immerso in così gran dolcezza e consolazione, che voleva mandare a chiamare frate Pacifico --che nel secolo veniva detto “il re dei versi” ed era gentilissimo maestro di canto--, e assegnargli alcuni frati buoni e spirituali, affinché andassero per il mondo a predicare e lodare Dio.
Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare, rivolgesse al popolo un sermone, finito il quale, tutti insieme cantassero le Laudi del Signore, come giullari di Dio. Quando fossero terminate le Laudi, il predicatore doveva dire al popolo: «Noi siamo i giullari del Signore, e la ricompensa che desideriamo da voi è questa: che viviate nella vera penitenza».
E aggiunse: «Cosa sono i servi di Dio, se non i suoi giullari che devono commuovere il cuore degli uomini ed elevarlo alla gioia spirituale?». Diceva questo riferendosi specialmente ai frati minori, che sono stati inviati al popolo per salvarlo.
Egli fu sempre felice di comportarsi così, fosse sano o malato, e volentieri esortava gli altri a lodare insieme il Signore. Nei momenti che più era torturato dal male, intonava le Laudi del Signore, e poi le faceva cantare dai suoi compagni, per dimenticare l’acerbità delle sue sofferenze pensando alle Laudi del Signore. E fece così fino al giorno della sua morte.”
Il famoso “Re dei versi”, Guglielmo da Lisciano, aveva incontrato Francesco molti anni prima, proprio qui a S. Severino. Era venuto a far visita a una sua parente monaca “con molti amici” giullari come lui, nel monastero di S. Salvatore di Colpersito (2Cel 106; FF 693):
FF 693. «Vi era nella Marca d’Ancona un secolare, che dimentico di sé e del tutto all’oscuro di Dio, si era completamente prostituito alla vanità. Era chiamato “il Re dei versi”, perché era il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva talmente reso famoso, che era stato incoronato dall’Imperatore nel modo più sfarzoso.
Mentre camminava così avvolto nelle tenebre e si tirava addosso il castigo avvinto nei lacci della vanità, la pietà divina, mossa a compassione, pensò di richiamare il misero, perché non perisse, lui che giaceva prostrato a terra. Per disposizione della Provvidenza divina, si incontrarono, lui e Francesco, presso un certo monastero di povere recluse. Il Padre vi si era recato per far visita alle figlie con i suoi compagni, mentre l’altro era venuto a causa di una sua parente con molti amici.
La mano di Dio si posò su di lui, e vide proprio con i suoi occhi corporei Francesco segnato in forma di croce da due spade, messe a traverso, molto splendenti: l’una si stendeva dalla testa ai piedi, l’altra, trasversale, da una mano all’altra, all’altezza del petto. Personalmente non conosceva il beato Francesco; ma dopo un così notevole prodigio, subito lo riconobbe. Pieno di stupore, all’istante cominciò a proporsi una vita migliore, pur rinviandone l’adempimento al futuro. Ma il Padre, quando iniziò a predicare davanti a tutti, rivolse contro di lui la spada della parola di Dio. Poi, in disparte, lo ammonì con dolcezza intorno alla vanità e al disprezzo del mondo, e infine lo colpì al cuore minacciandogli il giudizio divino.
L’altro, senza frapporre indugi, rispose: «Che bisogno c’è di aggiungere altro? Veniamo ai fatti. Toglimi dagli uomini, e rendimi al grande Imperatore!». Il giorno seguente, il Santo lo vestì dell’abito e lo chiamò frate Pacifico, per averlo ricondotto alla pace del Signore. E tanto più numerosi furono quelli che rimasero edificati dalla sua conversione, quanto maggiore era stata la turba dei compagni di vanità.
Godendo della compagnia del Padre, frate Pacifico cominciò ad esperimentare dolcezze, che non aveva ancora provate».
Il monastero di S. Salvatore si erge ancora sul colle di fronte S. Severino, ora animato dalla presenza dei frati Cappuccini. Probabilmente, in occasione della prima visita di Francesco le “povere recluse” di Colpersito avevano conosciuto Francesco e successivamente, di certo a partire dal 1223, accettato “le osservanze” delle Povere Dame di S. Damiano. Esse sono le “povere recluse” a cui Francesco, ritornando da Ancona verso Assisi, lasciò l’agnellino riscattato presso Osimo dal gregge di caproni. Presenti nel monastero di Colpersito fino al 1252, emigrarono poi nella parte alta di S. Severino, al riparo della cinta muraria.
S. Bonaventura precisa che il monastero si trova a S. Severino e c’informa che Francesco “stava predicando sulla Croce di Cristo” quando il giovane poeta lo vide “segnato da due spade splendentissime, disposte a forma di croce”, e allora “come trafitto dalla spada dello Spirito”, quella della predicazione della Parola, chiese di entrare nell’Ordine (Lmag IV,9; FF 1078). La Croce su cui Francesco predicava è ancora là, nella chiesa di Colpersito: si tratta di un romanico Crocifisso di legno dallo sguardo maieutico, vincitore sulla morte.
Fra Pacifico fu tra i frati più vicini al Santo: fu lui a vedere un grande tau illuminare meravigliosamente e con grande varietà di colori la fronte di Francesco (Lmag IV, 9; FF 1079); fu poi lui uno dei pochi a vedere e toccare le stimmate del Serafino Crocifisso sulla carne di Francesco quando questi era ancora in vita (2Cel 137; FF 721); e ancora un noto episodio lega fra Pacifico a un altro Crocifisso ligneo: pregando davanti ad esso e rapito in estasi, vide nel cielo una serie di troni e uno in particolare “più bello degli altri, ornato di pietre preziose e tutto raggiante di gloria”, e udì una voce dire che quel trono era appartenuto a Lucifero ma ora era riservato “all’umile Francesco” (2Cel 123; FF 707). Fra Pacifico, il poeta, è così figura emblematica dell’uomo spirituale, dalla profonda capacità visiva, che sa trarre da un incontro e da un’immagine un grande programma di vita: per lui a Colpersito, come per Francesco a S. Damiano, all’origine c’è sempre il Crocifisso-Risorto. Di S. Severino è anche frate Bentivoglio, di cui parlano I Fioretti (cap. 42; FF 1878).
FF 1878. Un altro fu frate Bentivoglio da Santo Severino, il quale fu veduto da frate Masseo da San Severino essere levato in aria per grande spazio istando egli in orazione nella selva; per lo quale miracolo il devoto frate Masseo, essendo allora piovano, lasciato il piovanato, si fece frate Minore; e fu di tanta santità, che fece molti miracoli in vita e in morte, ed è riposto il corpo suo a Murro.”
Il corpo di frate Bentivoglio è ancora a S. Severino, nella chiesa di S. Maria dei Lumi, insieme a quello di un altro protagonista de I Fioretti: Pellegrino da Falerone (I Fioretti, cap. 27).
Nel Settecento fu S. Pacifico Divini a testimoniare la feconda vitalità spirituale di questa città, ricchissima di ricordi francescani: è d’obbligo una visita al Santuario, già quattrocentesco eremo di S. Maria delle Grazie. Al Castello, attraversata la Porta di S. Francesco lungo la medievale cinta muraria e le rovine della duecentesca chiesa francescana (nel convento annesso dimorò anche S. Bonaventura), presso il locale Monastero delle Clarisse si conclude il viaggio rievocando il locale Monastero delle Clarisse si conclude il viaggio rievocando tra la pecorella consegnata da Francesco e da frate Paolo e la tonaca confezionata con la sua lana dalle Sorelle Povere (1Cel 28 FF 456).